La Cittadella dell’Innovazione sostenibile si fa distretto e punta su green e dati

Adesso inizia ad esserci qualche punto fermo. Il primo è il verdetto ufficiale sul bivio che più ha fatto discutere negli ultimi mesi: non ci sarà un maxi polo per inglobare tutte le funzioni. La seconda certezza sta nella sua futura carta d’identità: la governance sarà affidata a una Fondazione e a una società di scopo.
Il suo destino (alias: linee guida e mission), sulla carta, è già scritto ed è nella mani di un project manager già ingaggiato e al lavoro. Ultima fondamentale questione: ora che la cornice è definita, serve un piano industriale di dettaglio. Che sarà in «pronta consegna» tra la fine di settembre e ottobre, così da arrivare entro la fine dell’anno con un puntuale schema di lavoro definitivo.
Eccola, in estrema sintesi, la road map dell’attesa Cittadella dell’innovazione che, chiusa la parentesi temporale del confronto, è pronta ad assumere più le sembianze di un «distretto». Cioè? Tanti poli sul territorio, ottimizzando gli spazi già disponibili (da quelli dell’Università al Csmt, passando per le aziende di città e provincia), e un quartier generale nel capoluogo. Uno o, perché no, due.
Cos’è
Il progetto della Cittadella dell’innovazione sostenibile nasce nel 2021 per voce di Csmt-Innovative contamination hub e di InnexHub. L’obiettivo è realizzare a Brescia un maxi polo che sia casa di aziende, centri di ricerca, laboratori, residenze studentesche, ma anche luoghi di incontro (bar, ristoranti e persino un teatro). Un disegno dunque mastodontico, la cui stima dei costi si aggirava tra i 168 e i 200 milioni di euro.
Il percorso
A tirare le somme di questi mesi di prologo del progetto, è stato l’incontro tecnico di mercoledì a cui ha partecipato una platea di circa 150 persone tra volti in presenza e voci da remoto, tra cui colossi come Siemens, Lenovo e Comau, oltre ovviamente ai vertici di Camera di Commercio (diventata capofila della Cittadella), Comune di Brescia, Csmt e InnexHub (i due soggetti che, nel 2021, si sono fatti promotori dell’ambizioso progetto), Università, Coldiretti e tutti i rappresentanti delle categorie seduti nella Fondazione Campus edilizia. È stato quello il momento della restituzione del lavoro condotto dai dodici tavoli tematici, avviati lo scorso luglio, che hanno chiamato a raccolta 44 realtà: sette tra università e centri di ricerca, 15 associazioni, quattro enti pubblici (appunto: Camera di Commercio, Comune, Provincia e Fondazione Brescia Musei) e diciotto imprese.
I 230 stakeholder coinvolti hanno stilato dossier approfonditi (in media, una cinquantina di pagine per ciascuna tematica) che rappresentano la base e la traccia per redigere una sorta di documento di sintesi organico: selezionando e individuando indirizzi specifici. Il tutto, partendo però già da un orientamento chiaro: i filoni bresciani saranno sostanzialmente due, vale a dire green economy e sensing data (che include, più in generale, il filone digitale).
La «prima casa»
La domanda rimasta senza risposta, a questo punto, è: bene i «poli satellite» esistenti, ma visto che il tempo corre, dove nascerà questa sede centrale? Qui entra in gioco la Loggia, che conferma il suo ruolo di garanzia rispetto al capitolo immobiliare, impegnandosi a trovare una casa per il progetto. Ma per esercitare questo ruolo, al Comune servono le coordinate per orientarsi. Tradotto: serve il piano industriale, unico strumento in grado di chiarire quali funzioni troveranno spazio nella sede futura e, a cascata, quali siano non solo la struttura ma anche la zona più adatte.
L’idea per ora molto generica che ci si è fatti in base ai dossier redatti dai 12 tavoli tematici è che possano essere necessari circa 18-20mila metri quadrati. Ma non è detto che debbano essere in un unico stabile: un conto è cioè se servirà uno spazio laboratorio (oltre a sala conferenze, uffici, spazio caffè e sale di rappresentanza), funzioni insomma che possono perfettamente convivere tanto con il centro quanto in uno dei quartieri. Altro conto è se vanno posizionati macchinari e si pensa di mettere in campo una sperimentazione più impegnativa: in quel caso, ad esempio, si potrebbero valutare due poli, il primo appunto di rappresentanza e il secondo incastonato in una zona già a vocazione industriale.
Anche su questo fronte, comunque, qualche punto fermo c’è: l’obiettivo a cui punta la Loggia è, se possibile, rigenerare e non costruire ex novo. Sicuramente, la ricerca non si concentrerà né su aree da bonificare (come i vecchi uffici Caffaro), né su immobili vincolati dalla Soprintendenza (come le ex caserme o le Casere).
E l’ipotesi Freccia Rossa? Non è del tutto depennata, ma è ormai bollata come sempre più complessa. Requisiti essenziali saranno invece la presenza di parcheggi e, soprattutto, l’interconnessione con metro e tram. Una o due sedi, in centro o no, si capirà insomma in un secondo momento. Di certo però c’è almeno un aspetto del lato economico: optare per un distretto diffuso e non per una mastodontica Cittadella, stando alle stime, consentirà un risparmio di circa cento milioni di euro.
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