Garda

Corpo recuperato nel Garda, è dell'ex pornostar

La conferma dalla Questura di Vicenza: i resti recuperati in fondo al Garda siano quelli dell'ex pornostar scomparsa.
Conferma della Polizia: il cadavere è di Federica Giacomini
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«Al di là dell’accertamento di natura biologica e dell’approfondimento in ambito genetico, per la conoscenza che ho della persona, salvo che non sia una sosia, per me è più che verosimile che sia Federica Giacomini». Ad affermarlo ai cronisti mercoledì pomeriggio, riferendosi ai resti umani recuperati martedì nelle acque del Garda, è stato l’avvocato Paolo Mele, legale della famiglia della ex pornostar scomparsa, appena uscito dall’Istituto di medicina Legale di Padova. Poi in serata la conferma della Questura: le sembianze del volto, in particolare lo stato di conservazione di naso, labbra e capelli, hanno consentito di fugare i dubbi. E dubbi non vi sarebbero più neppure sulla natura violenta della morte.

Una conferma che ha il peso di una lapide, e che lascia poco da aggiungere alle verifiche sul Dna, trasformando in dolore l’ansia dei familiari che della 43enne ex attrice hard vicentina nota come Ginevra Hollander, non avevano più notizie dal 9 febbraio scorso.

Sul suo destino pare sempre più profilarsi la mano del 55enne bresciano Franco Mossoni, suo compagno negli ultimi otto anni di vita e ora indagato a tutti gli effetti per omicidio volontario dalla Procura di Vicenza. Non è un caso che gli investigatori che ieri hanno recuperato dal lago di Garda i resti della donna nascosti in una cassa azzurra abbiano puntato la lente proprio sul piccolo borgo di Castelletto di Brenzone, sulla sponda veronese, a pochi passi da Malcesine. Lì Mossoni era stato notato a febbraio, lì lo riconducevano le tracce lasciate nelle celle di telefonia mobile dal suo cellulare. E lì l’uomo si spacciò per un biologo impegnato in ricerche sul fondale del Garda, chiedendo la disponibilità di una barca.

Circostanza che drammaticamente apre ad altri scenari. Su tutti il fatto che chi ha gettato nel lago di Garda l’involucro con il corpo di Federica Giacomini – dunque per l’accusa Mossoni - lo ha fatto con l’aiuto inconsapevole di un barcaiolo di Castelletto di Brenzone. Lo ha accertato la Polizia di Vicenza che indaga sulla vicenda. Il barcaiolo ha riferito agli investigatori di essere stato contattato tra fine gennaio e inizio febbraio da un uomo che si è spacciato per biologo, il quale ha preso in affitto l’imbarcazione (con relativo conducente) con la scusa di dover effettuare degli esperimenti.

La bara di plastica, ha raccontato il barcaiolo, aveva in effetti alcuni congegni (pulsanti e antenne) che potevano far credere che si trattasse di una strumentazione funzionante. Il finto biologo ha chiesto di essere accompagnato in un punto ben preciso del lago, particolarmente profondo. Poi i due hanno gettato in acqua l’involucro.

La mobile di Vicenza ha accertato che Franco Mossoni, l’ex compagno della donna sospettato dell’omicidio, era stato visto diverse volte a Castelletto nei giorni della scomparsa di Federica, con camuffamenti vari: una volta con una parrucca, in un’altra occasione con una barba posticcia. Il sospetto è che il sedile anteriore della Fiat Punto dell’uomo, recuperata più tardi dagli investigatori, sia stato tolto (e sostituito con una sdraio) non tanto per occultare le tracce del delitto quanto per trasportare la bara di plastica.

Il trasporto, si rileva ancora, deve essere avvenuto nelle ore immediatamente successive alla morte della donna, visto che il barcaiolo ha affermato di non aver percepito alcun odore particolare fuoriuscire dall’involucro. Non si esclude perciò che tutta la complessa operazione per l’assemblaggio del finto “congegno” subacqueo sia stata compiuta addirittura prima del delitto, aprendo quindi la strada all’ipotesi della premeditazione. Quando la Polizia ha aperto l’involucro vi ha trovato all’interno una serie di sacchi di plastica chiusi da nastro adesivo ad avvolgere quello che appare un corpo umano, insieme a pezzi di legno e a un forato di cemento servito per “zavorrare” il tutto. Un manufatto, dunque, particolarmente pesante. Circostanza che apre una ulteriore ipotesi. E cioè se l’assassino sia stato aiutato da un complice nelle fasi del trasporto. L’involucro è stato immediatamente portato ad una temperatura di -80 gradi e recapitato all’Istituto di medicina legale di Padova dove nel pomeriggio sarà aperto. Ci si aspetta che il corpo si trovi in avanzato stato di decomposizione per la lunga permanenza in acqua. Sarà probabilmente difficile capire sia il sesso che l’età della vittima e quali lesioni ne possano aver causato la morte. Ci si affiderà dunque soprattutto all’esame dell’arcata dentale e al dna, i cui riscontri si avranno non prima di martedì prossimo.

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