Turboden, con la pompa di calore di Ori Martin nuova sfida energetica

La vocazione tecnologica di Turboden va di pari passo con la sua capacità di sapersi muovere nei meandri delle relazioni internazionali industriali, a cominciare dagli uffici dell’Unione europea a Bruxelles.
E la notizia della prossima installazione all’acciaieria Ori Martin della prima pompa di calore di grandi dimensioni (Large heat pump - Lhp), pensata per trasferire calore da una fonte più fredda a un’utenza a temperatura più elevata (una rete di teleriscaldamento o un processo industriale), è frutto proprio di questa doppia vocazione, internazionale e tecnologica.
«Veniamo da alcuni anni di riposizionamento, nel corso dei quali oltre ai nostri tradizionali settori di competenza quali geotermico, biomasse ed efficienza energetica - racconta Marco Baresi, direttore Affari istituzionali e Marketing -, abbiamo puntato sui gas espander (turbina che permette al gas naturale ad alta pressione di produrre lavoro, convertito in energia elettrica tramite un generatore ndr) e appunto le pompe di calore».
La novità
E alla Ori Martin, dove già è stato installato un sistema ORC (Organic Rankine cycle) per il recupero di calore da una fornace ad arco elettrico, verrà creato il primo sistema di questa natura, una pompa di calore industriale di grandi dimensioni, «settore che ci aspettiamo rappresenti nel prossimo triennio il 30-40% del nostro volume d’affari» spiega il ceo Paolo Bertuzzi.
Si tratta di un nuovo passo in avanti per l’azienda con sede in via Cernaia (circa 300 addetti e un fatturato n 2022 attorno ai 100 milioni di euro) e dal 2013 parte del gruppo Mitsubishi Heavy Industries, un nuovo capitolo che si apre e che necessariamente richiede una riflessione anche sul piano europeo. Perchè una tecnologia è una cartina tornasole dello stato normativo comunitario e insieme della capacità di un’azienda di sapersi muovere in questo mare.
«Abbiamo capito che per avere benefici evidenti non basta partecipare a un bando europeo quando questo esce ma bisogna cercare, da soli o tramite la partecipazione a realtà associative transnazionali, di indirizzare la stesura dei bandi - racconta Baresi, che riveste anche la carica di vice presidente del Consiglio europeo energia geotermica (Egec) -. Lo abbiamo fatto per esempio sul geotermico, inserito nel RepowerEu dove si indica di triplicarlo entro il 2030. Interfacciarsi con la Commissione permette di partecipare a quel percorso che stabilisce quali sono i settori importanti per l’Ue, quali tecnologie servono e quanti soldi, a quel percorso che fa nascere una call».E l’attività di lobby sana, come sottolineato dal ceo Bertuzzi, «è quella che nasce quando sei davvero convinto che il tuo prodotto porti dei benefici, ambientali e alla società, non solo a te ma anche ai tuoi competitor». Anche in Italia questa volontà si è trasformata in azioni concrete, che hanno per esempio condotto «allo sviluppo di certificati bianchi dedicati agli ORC - rimarca Baresi -, che garantiscono contributi per la loro installazione».
Il contesto
Regolamentare infatti alcuni settori dove la tecnologia è più avanti delle norme, e a volte persino del mercato stesso, è infatti cruciale per far sì che le barriere vengano rimosse e permettano all’innovazione di farsi spazio e guadagnare terreno. Nell’ambito energetico questo anelito è quanto mai cruciale, visto l’attuale contesto tra spinta alla decarbonizzazione e guerra in Ucraina.
«Il RepowerEu ha posto tre pilastri cioè il risparmio, l’efficienza e la promozione delle rinnovabili - spiega Baresi -. Sul fronte efficienza l’Europa è stata disattenta, investendo poco sulla cogenerazione e sul riutilizzo del calore di scarto dei processi industriali. Sul fronte rinnovabili invece si è spinto enormemente su eolico e fotovoltaico, tecnologie ottime ma non le sole necessarie a una vera transizione ecologica».
Per quanto concerne invece il Green deal industrial plan recentemente presentato dalla presidente della Commissione Von der Leyen, «ad una prima e preliminare analisi appare come una reazione un po’ impreparata all’Inflation reduction act (Ira) degli Stati Uniti - dichiara il manager -. Il piano Usa ha infatti forti ripercussioni nei settori delle rinnovabili e dell’efficienza energetica. Il rischio per l’Europa è che molte aziende del manifatturiero decidano di delocalizzare a fronte dei grandi incentivi promessi e del costo del lavoro inferiore».
@Tecnologia & Ambiente
Il futuro è già qui: tutto quello che c’è da sapere su Tecnologia e Ambiente.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
