Tassare i robot per pagare le pensioni: la proposta di legge da Brescia

Le notizie arrivate in queste settimane dagli Stati Uniti – con Amazon che punta ad evitare l’assunzione di 600mila lavoratori entro il 2030 grazie all’uso di robot e con Meta che ha annunciato il progetto di creare robot dotati di intelligenza artificiale in grado di interagire e aiutare le persone nelle attività fisiche quotidiane – hanno aperto anche in Italia il dibattito sulla trasformazione che sta subendo il mondo lavoro e la progressiva sostituzione di operai e impiegati con macchine e sistemi tecnologici che replicano, ottimizzano o addirittura superare alcune funzioni tradizionalmente svolte dalle persone.
Il rapporto
In Italia, secondo un recente rapporto della Fondazione Randstad AI & Humanities, sarebbero oltre 10 milioni i lavoratori (in particolare quelli meno qualificati) esposti al rischio «automazione». Il rapporto segnala anche un altro lato della medaglia, ovvero la creazione di nuove opportunità di lavoro (su tutti i data scientist, ingegneri di machine learning, esperti in informatica); l’aumento della produttività con miliardi di ore di lavoro «liberate in grado di generare benefici assimilabili a grandi investimenti come il Pnrr.
La proposta
Il dibattito si è aperto anche in Italia e divide il mondo dell’imprenditoria e quello della politica. Il nostro Paese si trova infatti ad affrontare un invecchiamento demografico importante (meno lavoratori e più pensionati), che combinato all’introduzione di robot nelle fabbriche, sottrarrà sempre più lavoro «umano» ai tradizionali flussi contributivi. Ovvero la sostituzione dell’uomo con le macchine avrà inevitabili effetti negativi sul gettito fiscale e soprattutto previdenziale.
Parte da questi presupposti la proposta di un «contributo automazione», lanciata recentemente in una giornata di studio a Roma da un gruppo di commercialisti, tra questi anche il bresciano Stefano Bacchiocchi, dottore commercialista e revisore dei conti, nonché professore a contratto dell’Università degli studi di Brescia (per i corsi universitari di Contabilità generale, Economia e gestione delle imprese). La proposta è stata poi presentata ad un gruppo di senatori bipartisan in Senato.

Protezione sociale
«La ratio di questa proposta, ora allo studio anche di alcuni parlamentari, è semplice – spiega Bacchiocchi –. Se l’automazione produce vantaggi economici misurabili attraverso la riduzione del costo del lavoro rispetto ad una soglia di riferimento settoriale, quel vantaggio deve tradursi in una quota di risorse destinata alla protezione sociale, alla formazione e al sostegno della transizione occupazionale».
L’idea di tassare in qualche modo i robot che sostituiscono il lavoro umano non è certo nuova nel dibattito internazionale: nelle scorse settimane proprio negli Stati Uniti il senatore Bernie Sanders ha lanciato l’idea di una «tassa sui robot» per finanziare forme di reddito universale di base. Sul fronte Europeo un gruppo di parlamentari sta ragionando a Bruxelles su una proposta di legge con l’obiettivo di regolare il rapporto tra robot ed esseri umani. Ma l’idea lanciata dal commercialista bresciano è più complessa.

Il meccanismo
L’approccio è per certi versi innovativo e introduce un criterio di calcolo mirato: «Non vengono tassati gli asset, i robot in quanto tali, come fanno ad esempio bollo auto e l’Imu – spiega il commercialista bresciano –, ma grava esclusivamente sulla capacità contributiva generata dall’automazione che sostituisce il lavoro umano». Insomma, finché la tecnologia resta un mezzo al servizio dell’uomo, non è soggetta a imposizione fiscale, diventa tassabile nel momento in cui svolge attività produttive che rimpiazzano la prestazione umana.
«Nessuna imposta se non avviene sostituzione del lavoro umano. Il meccanismo di misurazione si fonda su dati di bilancio già obbligatori e verificabili – spiega ancora Bacchiocchi –: principalmente i ricavi aziendali e i costi del personale, comparati con una media settoriale e fattori qualitativi che fungono da benchmark. Queste medie settoriale esprimono la percentuale tipica di ricavi destinata al costo del lavoro; moltiplicando tale percentuale per i ricavi aziendali si ricava un costo del personale “atteso”».
L’obiettivo
La seconda parte della proposta riguarda gli obiettivi del «contributo automazione»: «Le entrate verrebbero raccolte in un fondo autonomo, separato dalla fiscalità generale, dedicato alla riqualificazione professionale, a misure di protezione sociale e a integrazioni previdenziali per i lavoratori che perdono il posto a causa dell’automazione; un fondo autonomo che finanzia pensioni, politiche attive per l’impiego, formazione continua e misure di ricollocamento».
Le ricadute sociali sarebbero importanti. Secondo il commercialista bresciano un gettito dedicato «può finanziare pensioni più sostenibili, potenziare percorsi di riqualificazione per i lavoratori spiazzati». «Il contributo automazione – spiega – non intende bloccare l’innovazione, al contrario vuole cavalcare una tendenza inarrestabile traendone risorse che ad oggi non vengono prese in considerazione».
I rischi
Anche se una «tassa sui robot» al momento è poco più che un’idea, sono molti coloro che mettono in guardia da un provvedimento che rischia di disincentivare le imprese dall’investire in automazione e tecnologie avanzate, riducendo la produttività complessiva e la competitività internazionale.
«Credo sia un rischio che non trova riscontro nei numeri –conclude Bacchiocchi –; la tendenza all’automazione è inarrestabile, non si sceglie l’automazione semplicemente per un mero risultato fiscale. Si sceglie l’automazione perché è più efficiente, non ha ferie né malattie, richiede meno forza lavoro e, soprattutto perché si tratta di una rivoluzione già in atto. Non si possono, nemmeno volendo, fermare le rivoluzioni con una imposta. Tanto vale sfruttare la capacità contributiva».
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