Azzerati i soldi inviati in Cina: l’ombra delle banche occulte

Dai 20 milioni inviati nel 2011, ai 64mila euro del 2024. In mezzo indagini e sequestri
Il flusso di denaro verso la Cina non si è interrotto
Il flusso di denaro verso la Cina non si è interrotto
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Ma i cinesi non mandano più i soldi in patria? La domanda sorge da anni spontanea analizzando i dati della Banca d’Italia. Se la risposta è «no», se ovvero li mandano ancora, di sicuro non lo fanno con i money transfer, attraverso le rimesse dirette, senza l’intermediazione di un conto bancario.

Nel corso dell’ultimo ventennio quelle verso la Repubblica Popolare Cinese sono drasticamente crollate e il loro crollo non è collegabile né al decremento della popolazione cinese residente nella nostra provincia, anche perché è cresciuta, né tanto meno alla contrazione del volume d’affari che è stata in grado di produrre.

I dati

La panoramica scattata da Bankitalia è nitidissima. Vent’anni fa, nel 2005, i cinesi «bresciani» inviavano a Pechino poco più di due milioni di euro. Nel 2011 più di 20 milioni, nel 2012 più di 19 milioni. Oggi, o meglio, alla fine del 2024 hanno rimesso in patria in tutto solo 64mila euro, il punto più basso dell’ultimo ventennio. L’inesorabile crollo è iniziato nel 2013, ma si è consumato in pochissimi mesi.

A partire da quell’anno i versamenti attraverso money transfer si sono quasi dimezzati di dodici mesi in dodici mesi, passando da 13 a 7,7 milioni, da 7,7 a 5,3; da 5,3 a 3,6; da 3,6 a 1,9 per poi scendere sotto il milione di euro nel 2018 e non tornare mai più sopra. Eppure in questo lasso di tempo la popolazione cinese residente nel capoluogo, giusto per prendere un solo campione di riferimento, è cresciuta del 37%, passando dalle 1868 unità del 2004 alle 2562 del 2024..

La classifica

Il fenomeno non ha analogie. I dati messi a disposizione dalla Banca d’Italia consentono di comporre la classifica dei Paesi che hanno ricevuto più denaro dai loro cittadini residenti in provincia di Brescia, ma anche di quelli che ne hanno incassati di meno, con le relative tendenze. Nessuno ha fatto peggio della Cina. Chi è andato male ha avuto un calo, ma non così drastico. Negli ultimi vent’anni sono stati inviati 435 milioni di euro in Pakistan, 400 in India, 333 in Senegal, 253 in Romania e solo 118 in Cina, poco più di quanto inviato in Sri Lanka (113), nelle Filippine (102) e in Albania (99,7). A fare registrare il maggior incremento di rimesse negli ultimi cinque anni è il Bangladesh, con quasi il 6%. Mentre il decremento maggiore, ma sempre e solo analizzando l’ultimo lustro, è quello del Senegal, attestato al 9,9%. Il crollo della Cina è molto più risalente nel tempo: i suoi numeri non fanno classifica ormai dal 2015.

Le indagini

Una motivazione ufficiale del crollo non c’è. C’è però una coincidenza che tanto casuale non sembra. Tra il 2010 e il 2015 sono state diverse le indagini che hanno messo nel mirino l’uso «disinvolto» dei money transfer da parte di cittadini di origini cinesi. Indagini monstre che portarono ad ipotizzare il riciclaggio di alcuni miliardi di euro in nero attraverso proprio il sistema delle rimesse. Le Fiamme Gialle scoprirono che per fare arrivare in Cina il capitale guadagnato in nero in Italia imprenditori di origini cinesi riuscivano a frazionare le transazioni in centinaia se non migliaia di importi inferiori alla soglia e le attribuivano a prestanome compiacenti, ma anche a connazionali del tutto ignari, oppure a persone inesistenti.

I soldi arrivano in Cina attraverso circuiti diversi
I soldi arrivano in Cina attraverso circuiti diversi

Coincidenza

Le ragioni del crollo possono essere diverse. Dalla maturazione economica della Cina. All’integrazione nel tessuto imprenditoriale italiano dei cittadini cinesi, che investono i loro risparmi sul territorio. Ma come si spiega questo decremento improvviso e repentino. Una spiegazione ufficiale non c’è. Al suo posto una coincidenza che potrebbe essere utile.

Tra il 2010 e il 2015 sono state diverse le indagini che hanno messo nel mirino l’uso «disinvolto» dei money trasfer da parte di cittadini di origini cinesi. Indagini monstre portarono ad ipotizzare il riciclaggio di alcuni miliardi di euro in nero attraverso proprio il sistema delle rimesse. Le Fiamme Gialle scoprirono che per fare arrivare in Cina il capitale guadagnato in nero in Italia imprenditori di origini cinesi riuscivano a frazionare le transazioni in centinaia se non migliaia di importi inferiori alla soglia dei controlli antiriciclaggio e le attribuivano a prestanome compiacenti, ma anche a connazionali del tutto ignari, oppure a persone inesistenti. Negli anni di quelle indagini le rimesse dirette verso Pechino sono crollate di colpo, andando progressivamente ad azzerarsi.

Per gli operatori del settore, a partire dagli investigatori della Gdf i soldi in Cina ci finiscono ancora, e forse, anche più di prima. È cambiato solo il vettore, il sistema. Al posto dei money trasfer ha preso largo l’underground banking. Stando alle più recenti indagini le banche occulte cinesi raccolgono il contante, anche dai circuiti illegali, dietro il pagamento di una commissione lo mettono a disposizione di chi ne ha bisogno per concludere business illeciti (a partire dalle frodi fiscali con fatture false) e se lo fanno restituire ripulito attraverso bonifici su conti in Cina.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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