A settembre il rientro nelle fabbriche è nel segno dell’incertezza
Una ripartenza zoppicante. I cancelli delle fabbriche bresciane riaprono dopo la pausa estiva in un clima di forte incertezza. La nostra manifattura – a pieno titolo una delle più importanti a livello europeo – fatica a ritrovare slancio, condizionata da rimbalzi congiunturali che si alternano a battute d’arresto; col settore automotive in affanno, stretto tra il calo della domanda e la transizione all’elettrico; con la metallurgia costretta a fare i conti con costi dell’energia troppo cari rispetto ai competitor; con le conseguenze, ancora in parte indecifrabili, dei dazi di Trump; e soprattutto una Germania, nostro primo partner commerciale, che nel secondo trimestre segna un calo del Pil dello 0,3%.
I dati diffusi dall’Inps sulle richieste di cassa integrazione hanno lanciato un primo campanello d’allarme: nei primi sei mesi del 2025 le ore autorizzate nel Bresciano hanno superato la soglia delle 13 milioni, in crescita del 45% rispetto al 2024. Si tratta del numero più alto dal dopo la pandemia. Dall’altro lato c’è l’Istat che mostra un’industria bresciana resiliente con un secondo trimestre in crescita dello 0,3%.
I commenti
«Impossibile fare previsioni e offrire una lettura di cosa ci attende nei prossimi mesi – spiega il presidente di Confindustria Brescia, Paolo Streparava –. Non si possono ancora stimare le conseguenze che i dazi di Trump produrranno sull’Europa e sull’economia bresciana. C’è il nodo acciaio da risolvere: quell’aggravio del 50% delle tariffe che si estende a centinaia di codici diversi. Sono prodotti della meccanica bresciana, cuore della nostra economia. In queste condizioni per le imprese diventa complesso fare investimenti: sono ferme in attesa di capire la direzione da prendere».

I numeri del manifatturiero bresciano sono imponenti: 153.000 persone impiegate in 13.000 aziende. La metalmeccanica è in primo piano con 8.000 unità locali e oltre 108.000 addetti, che fanno di Brescia la seconda provincia italiana per importanza nel comparto. «Mi chiede se siamo preoccupati? Difficile non esserlo. La meccanica resta il cuore dell’economia bresciana: se non va quella ne risentono a cascata tutti gli altri settori, dal terziario ed i servizi, quindi l’impatto è a 360 gradi. Ma mi lasci dire una cosa: Trump vuole riportare la manifattura negli Usa, ma io negli Stati Uniti ci sono stato e ho visitato le loro fabbriche: gli americani se le sognano le nostre competenze e capacità di fare impresa».
Incognita Iveco
L’autunno per Brescia si apre con un’altra grande incognita, quella di Iveco. Come giudica la vendita del gruppo agli indiani di Tata Motors? «Tata ha dimostrato in passato buone capacità strategiche. Guardi l’esempio di Land Rover: hanno fatto rinascere un marchio ed un’azienda che era praticamente fallita. Oggi Land Rover è un player solido che sforna nuovi modelli. Tata Motors in Europa non ha nessun avamposto per i veicoli industriali; se replicano quello che hanno fatto con Land Rover mi aspetto grandi investimenti su prodotto e in innovazione. Hanno le risorse per farlo. Voglio essere ottimista».

Nuovi mercati
Il clima è di grande incertezza. Il dato Inps della cassa ha preso in contropiede le stesse associazioni di categoria. «Dalle rilevazioni effettuate dai nostri uffici non risulta un forte tiraggio dell’utilizzo dell’ammortizzatore sociale – spiega il presidente di Confapi Brescia, Pierluigi Cordua –. È invece vero che le aziende hanno ridotto il lavoro interinale. Gli imprenditori di fatto stanno cercando di capire ciò che accadrà nei prossimi mesi, soprattutto sul fronte dazi. I settori in difficoltà sono la meccanica e la metallurgia, ma anche l’agroalimentare per via dell’impennata del costo delle materie prime».
Tra gli imprenditori c’è preoccupazione. «Ci sono quei famosi 400 articoli della meccanica dove alle tariffe Usa del 15% si somma quella legata a acciaio e alluminio – spiega Cordua –. Ma ai dazi si aggiunge anche il dollaro, il taglio dei tassi della Fed rischia di indebolire ulteriormente il biglietto verde».
Le difficoltà sono trasversali, toccano le piccole come le grandi imprese: «Il sistema oggi è fortemente interconnesso, le piccole sono in filiera con le grandi imprese – conclude Cordua –. Il calo della Germania ci ha spinto a guardare a nuovi mercati alternativi ed i primi risultati si vedono, quindi Piano Mattei, India ecc». «È necessario capire quali sono le nuove direttrici di investimento. Si fa un gran parlare di stanziamenti nella difesa. Ma la riconversione non è per nulla semplice; in alcune filiere questa opportunità dovrà essere analizzata. Servirà supporto in termini di competenze, formazione, certificazioni, investimenti. C’è incertezza, ma abbiamo il dovere di guardare e progettare al futuro».
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