«Salari deprezzati del 30%, ora servono aiuti ai lavoratori»

«Le aziende hanno ricevuto aiuti durante il Covid, giustamente, ed hanno funzionato. Ora è necessario che le risorse siano date direttamente a lavoratori e pensionati». Rocco Palombella non vede alternative: «Fino a qualche mese fa - spiega il segretario generale della Uilm -, si diceva che, grazie a politiche economiche espansive, un’inflazione al 2% poteva generare occupazione. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, però, l’inflazione è stata alimentata dall’indiscriminato aumento dei costi delle materie prime e dell’energia: è dunque sorto il problema dei salari, che si sono deprezzati del 30%. A questo punto è facile immaginare che se le persone non avranno a disposizione un terzo del loro reddito, consumeranno meno e contestualmente in Italia avremo un’inflazione vicina al 7%. La situazione diventerà molto critica».
Chi e come deve intervenire?
«Se il Governo non interviene subito, gli importanti risultati ottenuti dai rinnovi contrattuali, a partire dagli aumenti salariali, saranno vanificati dall’aumento dei prezzi. Adesso sono fondamentali interventi strutturali a favore delle famiglie per far ripartire l’economia. Si devono ridurre le tasse, il cuneo fiscale, ma non con il criterio indicato dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi: in primis vanno aiutati lavoratori e pensionati, lo ribadisco. Stiamo vivendo un’emergenza più difficile rispetto a quella scatenata dal Covid, bisogna fare in modo che la Ue stanzi fondi a sostegno di queste fasce più deboli della popolazione».
Non sarà semplice convincere l’Europa. Oggi, però, chiudendo con il suo intervento la Festa dei lavoratori in Piazza Loggia, potrebbe lanciare un appello a Bruxelles.
«Ho accettato subito l’invito a Brescia perché nell’ideale di un sindacalista la vostra città ha un fascino particolare: lì c’è il meglio della manifattura e una cultura del lavoro che si trova in pochi altri territori. Riprendersi dalla crisi attuale sarà più difficile: il Covid accumunava gli Stati europei, mentre la guerra in Ucraina, con le sue diverse sfaccettature, ha avuto un effetto divisivo. Soprattutto dal punto di vista economico».
Il mercato del lavoro peraltro subisce questa particolare fase congiunturale: sempre più lavoratori, anche nella nostra provincia, sono insoddisfatti della loro occupazione e dello stipendio. Che sta succedendo?
«Forse le imprese, soprattutto quelle più piccole, non assolvono più il loro ruolo sociale. Fare impresa non è solo una questione di ricavi, costi e produttività. Le conseguenze di questo modello inefficiente, dal punto di vista sociale, si riscontrano anche in altri fenomeni».
Fa forse riferimento alla sicurezza sul lavoro? Sa che Brescia ha raddoppiato gli infortuni rispetto allo scorso anno?
«Morire sul lavoro resta un dramma e una vergogna. La sicurezza viene prima di tutto. Mi lasci però spiegare una cosa ...»
Prego...
«Spesso la gente si domanda come sia ancora possibile morire sul lavoro nonostante l’innovazione tecnologica portata dentro le fabbriche ...».
Ebbene?
«Ebbene, noi in Uil abbiamo monitorato il fenomeno e tra i principali risultati emersi dal nostro studio è la ripetitività del tipo di infortunio. Nella maggior parte dei casi, insomma, l’aspetto tecnologico resta marginale: gli infortuni sul lavoro avvengono nei cantieri, sulle impalcature, nelle scale degli ascensori e coinvolgono addetti a lavori manuali, operai generici, spesso precari, senza una formazione adeguata. Il continuo ricambio del personale non incentiva la sicurezza sul lavoro; un immigrato costretto a mansioni massacranti subisce il rischio; un sessantenne su un’impalcatura dalla mattina alla sera si espone al rischio molto più di un giovane».
La formazione diventa fondamentale
«La formazione conta, eccome. Ma come le dicevo all’inizio, dobbiamo fare uno sforzo in più ed entrare più nello specifico: fare impresa non è solo una questione di ricavi, costi e produttività. Tuttavia, devo ammettere, che da questo punto di vista il mondo dell’industria è diventato molto più inclusivo di un tempo. E il modello Brescia lo conferma».
A proposito, una parte significativa dell’industria bresciana, legata al mondo dell’auto, si trova coinvolta nel processo di transizione dal motore termico a quello elettrico. Un passaggio, immagino, che lei conosce bene: a che punto siamo?
«La transizione al motore elettrico avverrà entro i tempi prescritti dall’Europa, non ho dubbi. Ma a noi interessa come avverrà questo passaggio: le case automobilistiche, Stellantis su tutte, non l’hanno ancora spiegato. Considerata la situazione attuale non possiamo permetterci di perdere posti di lavoro. Purtroppo, anche se lo scorso 3 febbraio, insieme ai segretari di Fiom (Francesca Re David) e Fim (Roberto Benaglia) e al presidente di Federmeccanica (Federico Visentin) abbiamo consegnato al Governo un documento condiviso per definire un piano verso il futuro dell’automotive italiano, stiamo ancora aspettando una convocazione dal Ministero competente».
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