Economia

Imparare a lavorare? In paninoteca

L’esperienza in un fast food si misura con flessibilità, logistica, digitale, catena di valore...
Un panino
Un panino
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Il mondo dei bar e dei ristoranti e il dibattito sulla occupazione giovanile Casey Neistat è un famoso YouTuber americano, un «vlogger», cioè un blogger che si esprime attraverso filmati. In un’intervista ha detto: «Ho una regola nella mia vita: mai assumere un dipendente o avere una relazione con qualcuno che non ha mai lavorato in un ristorante. Perché se non l’ha mai fatto, non sa cosa significa la vita. Mia moglie è stata cameriera, ha avuto un bar e diretto un ristorante. Io ho lavato i piatti e sono stato un cuoco. So cosa vuol dire».

Dopo aver suggerito ai giovani, sulle colonne di questo quotidiano, di lavorare in un McDonald’s per uno stage formativo, il gestore bresciano di alcuni ristoranti di questa insegna mi ha invitato a visitare l’ultimo inaugurato pochi mesi fa a Rovato. Sono rimasto a bocca aperta. In pochi metri quadrati una mini azienda 4.0 dove si può imparare la divisione del lavoro, l’automazione, la gerarchia organizzativa, le fasi di un processo produttivo, la catena del valore, come funziona una linea (la maggior parte degli articoli di consumo esce da una linea), il rapporto con il cliente, la digitalizzazione, il peso delle variabili nel consumo, nuovi metodi per velocizzare e migliorare il servizio. E molto altro.

«Con sistemi di intelligenza artificiale e nuovi schermi interattivi sarà possibile che una voce ci chieda se vogliamo ordinare "il solito". Grazie al riconoscimento vocale e della targa, oltre a quello delle preferenze e dei gusti del cliente». Una novità della loro app, in fase di test in alcuni punti vendita e illustrata alcuni mesi fa da Dario Baroni, vice president «brand & customer experience» di McDonald’s Italia. Mi ha colpito la confidenza di un amico: suo cugino è il proprietario di una famosa paninoteca della Franciacorta. Seppur abbia un notevole successo, ha deciso di fare uno «stage» proprio al McDonald’s di Rovato. Perché i mediocri imitano, i geni copiano, diceva Picasso.

Avvicinava i suoi clienti seduti ai tavoli, e li mandava in cortocircuito servendo un Double Cheeseburger ma annunciandolo con «eccoti un cuoricino», il nome di uno dei suoi famosi panini. E loro lo guardavano sorpresi, cercando di capire se fosse davvero lui, perché fosse lì. Quando avevo ideato la fiera del casoncello, suggerii il «menù bambini» ribattezzato «Baby Casoncello», copiando l’«Happy Meal» di McDonald’s: una porzione di casoncelli, una di patatine e un piccolo regalo.

L’imprenditrice Tiziana Fausti ha detto: «Per forza non si trova personale nei ristoranti, lo Stato li mantiene a casa con la Naspi e il Reddito di Cittadinanza. Uno fa dei lavoretti e lo stipendio se lo porta a casa lo stesso. Sperando che arrivi la fine del mondo e senza mai pensare al futuro». Infatti Eugenio, che gestisce nove McDonald’s nella provincia bresciana, mi confessa di avere un solo problema: non trova personale, soprattutto giovani disposti a fare i turni.

Peccato. Quanto potrebbero imparare approfittando delle numerose pause, della flessibilità di pianificazione che garantisce lo studio universitario. C’è anche un’altra faccia. Un consulente aziendale mi cita il caso di una catena di paninoteche glamour milanesi per la quale ha lavorato e che ha sempre trattato i dipendenti in modo vessatorio, al limite dello sfruttamento. Perché sanno che il 90 per cento si lamenta ma non intraprende alcuna azione legale. E il restante 10 per cento che lo fa può essere gestito o si accetta di perderlo. Un modello miope e arretrato che squalifica le aziende che lo applicano, fallimentare nel medio lungo periodo. Soprattutto scoraggia i giovani da esperienze di lavoro che sono invece raccomandabili e formative.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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