Gozzi (Federacciai): «Adesso l'Italia è più fragile, sarà un autunno complesso»

La testa al presente, ma lo sguardo al futuro. In vista di un autunno che si preannuncia più caldo delle temperature dei giorni scorsi. «Non sono catastrofico, ma realistico. Andiamo incontro ad un autunno più difficile rispetto alle stagioni da cui arriviamo» spiega il presidente di Federacciai Antonio Gozzi. Legato a Brescia non solo professionalmente, con gli stabilimenti della Duferco, ma anche a livello familiare, con il padre nato a Brescia e cresciuto nel quartiere Carmine.
Presidente, sono giorni di grande dibattito sul salario minimo. Cosa ne pensa?
«Il tema è importante e complesso e non devono esserci pregiudizi. Sono sempre molto scettico rispetto alle bandierine e questo sta diventando una questione molto propagandistica. Detto che Duferco paga molto di più in tutte le sue aziende, anche a San Zeno, rispetto al salario minimo. Fatta questa premessa, c’e un rischio: che le imprese vengano invogliate a non rispettare i contratti di categoria per ripiegare sul salario minimo. Tutti i precedenti governi, compresi molti di centrosinistra. Non si sono mai avvicinati al tema perché i sindacati erano contrari. Solo la Cisl oggi manifesta molte perplessità, ma una volta anche Maurizio Landini (segretario generale nazionale della Cgil) non era favorevole. Serve un confronto tecnico vero soprattutto sulla determinazione della soglia di salario minimo per evitare boomerang. Credo però che la battaglia vera vada fatta sul tema del cuneo fiscale».
Che autunno si aspetta?
«Sarà una stagione complessa perché siamo davanti ad un rallentamento della congiuntura. Non possiamo nasconderci. Questo momento arriva dopo due anni molto forti in cui l’Italia dal punto di vista economico ha performato più di tutti in Europa. Il Paese oggi è più fragile, i tassi di interesse sono alti e ad un livello a cui gli italiani non erano più abituati e quindi c’è un rallentamento degli investimenti. Oltre ad un calo dell’inflazione più lenta rispetto a quello che ci si aspettava. Dobbiamo poi tenere presente il rallentamento della Germania, ben superiore al nostro, che inciderà anche sull’economia italiana. Inflazione e guerra sono i due dati di incertezza che pesano sulle previsioni».
Le aziende sono poi alle prese con i costi dell’energia. L’Italia è ancora fuori competizione?
«Tasto dolente e bastano due dati. Le aziende energivore francesi pagano l’energia 42 euro a mW/h, quelle tedesche 60 euro, mentre quelle italiane quasi 120 euro. Vale a dire il doppio dei tedeschi e il triplo dei francesi e non è ammissibile. Con questi costi siamo davanti ad un handicap pesante che rischia di generare fermate della produzione e quindi cassa integrazione. Non ci sono molte alternative».
Dal Governo e dall’Europa cosa vi aspettate?
«Il Governo è al corrente e abbiamo rappresentato a Roma la situazione. Il vero problema è l’Europa che ha dimostrato l’incapacità a fare una politica energetica comune. Non si riesce a trovare una sintesi comune che serve per evitare asimmetrie tra Stati ed ognuno va per la propria strada. L’Italia soffre perché non ha disponibilità economiche come altri. Il nostro governo deve rimarcare questo aspetto ai tavoli europei. Un altro dato che è drammatico: 750 miliardi di aiuti di Stato approvati dalla commissione europea nel 2021 e nel 2022. La Germania ne ha presi il 55%, la Francia il 27% e l’Italia solo il 7%. Non si può andare avanti così».
A questo quadro si aggiunge la burocrazia che rende tutto ancora più pesante.
«Siamo il 18esimo Paese in Europa per digitalizzazione della Pubblica amministrazione. Questo Paese è stato in piedi in questi anni per le aziende manifatturiere che generarono mille miliardi di fatturato. È il nostro biglietto da visita in Europa. E di certo non possono essere i tempi della pubblica amministrazione il nostro vanto. Qualcosa va corretto e la modernizzazione del Paese deve essere al centro dei fondi del Pnrr».
Leggevo una relazione nei giorni scorsi: ci vogliono 8-9 anni per realizzare autorizzazioni per bacini idroelettrici. Ma come è possibile?
«La siderurgia bresciana sta investendo molto nella decarbonizzazione dei processi produttivi».
La strada dell’acciaio green è il presente e il futuro?
«In questo campo siamo campioni europei di decarbonizzazione. Non c’è un paese europeo come noi in cui la produzione sia più dell’80% da forno elettrico. Avremo la leadership nell’acciaio green al 2030, lavorando su "scope 1", ovvero emissioni derivanti dalla combustione diretta e "scope 2", ovvero emissioni indirette. Come consorzio di aziende bresciane stiamo lavorando per acquistare biometano da mischiare con il gas metano per ridurre quel residuo di scope 1 che abbiamo nelle nostre produzioni. Il biogas va incentivato nell’industria e non solo nei trasporti come da normativa. In una produzione annua delle ottomila ore di esercizio complessivo, solo duemila sono coperte da rinnovabili; per coprire il resto delle ore, le soluzioni sono turbogas con carbon capture e energia nucleare».
Molti suoi colleghi lamentano difficoltà a trovare personale per le aziende. Voi avete aperto come Duferco un nuovo laminatoio a San Zeno. Conferma il problema occupazionale?
«Sì confermo e da presidente di Federacciai non posso pensare di andare a rubare le professionalità da altri consociati. Non lo fa nessuno e non posso immaginare di farlo io. Abbiamo fatto un’operazione di salvataggio dei lavoratori di Stefana acquistando dal fallimento gli stabilimenti di Nave. Una parte sono stati assunti a San Zeno e gli altri sono stati accompagnati alla pensione. Abbiamo optato per trasferimenti di lavoratori dai nostri laminatoi di Domodossola e della Sicilia, ma ci mancano figure professionali e non riusciamo a trovarle. L’investimento più grande il nostro paese dovrebbe farlo nella formazione, non solo degli studenti ma anche dei lavoratori. Servono istituti di formazione o meglio di trasformazione, sull’esempio di Francia e Germania. Sfide come la digitalizzazione del sistema manifatturiero e la decarbonizzazione si affrontano solamente con le competenze di maestranze formate per guidare il cambiamento».
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