Economia

Energie rinnovabili, l’Europa alza l’asticella a quota 45% entro il 2030

Via libera del Parlamento alla direttiva Red III. Svolta anche sulla tutela dei consumatori finali e sul greenwashing
Impianti eolici - © www.giornaledibrescia.it
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Un altro mattoncino, un altro passo verso quell’Europa verde che Commissione, Parlamento e Consiglio stanno costruendo insieme.

Martedì 12 settembre l’Assemblea comunitaria ha dato il via libera, con 470 voti favorevoli, 120 contrari e 40 astensioni, alla direttiva sulle energie rinnovabili (cosiddetta Red III). Tale scelta normativa, che rientra nel più ampio pacchetto «Fit for 55» volto a raggiungere una riduzione minima del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030 e che nasce come conseguenza del piano REPowerEU, innalza ulteriormente l’asticella per i Paesi membri in ottica di transizione energetica sostenibile.

La quota vincolante di rinnovabili nel consumo finale di energia è infatti stata innalzata al 42,5% (dal precedente limite del 32%) entro il 2030, sebbene la volontà messa nera su bianco nel testo sia quella di raggiungere addirittura il 45%. Nel 2022 secondo Eurostat tale quota media di fonti rinnovabili sui consumi finali lordi di energia è stata del 21,8%, in Italia invece circa il 20%. La strada da percorrere perciò è ancora tanta e il tempo stringe.

Permessi

Oltre a ciò però la Red III, che attende solamente il voto finale e favorevole del Consiglio dell'Unione europea per diventare effettiva, prevede lo snellimento delle procedure per la concessione di permessi per nuovi impianti di energia rinnovabile o per l’adeguamento di quelli esistenti.

In tale contesto le autorità nazionali non potranno impiegare più di 12 mesi per autorizzare la costruzione di nuovi sistemi nelle «zone di riferimento per le energie rinnovabili» identificate dalla Commissione. Al di fuori di queste aree la procedura non dovrà superare i 24 mesi.

Altra legge

Il parlamento però in questi giorni ha apposto l’imprimatur anche su un’altra normativa in chiave green, che questa volta interessa in prima persona i cittadini europei. L’Assemblea ha infatti approvato la proposta di direttiva, datata marzo 2022, che la Commissione ha avanzato in tema di tutela dei consumatori e al contempo di divieto di greenwashing.

Il testo prevede che le aziende e i professionisti siano in futuro tenuti a informare i consumatori sulla durabilità e la riparabilità delle merce acquistabile. I produttori e i venditori decideranno il modo più appropriato per fornire tali informazioni al consumatore, sia esso comunicato direttamente sull’imballaggio o presente nella descrizione del prodotto sul sito web. In ogni caso tali informazioni devono essere fornite prima dell’acquisto e in modo il più chiaro e comprensibile possibile.

Si passa poi al greenwashing, nome che indica strategie di vendita e di marketing volte a occultare o alterare il reale impatto ambientale di un prodotto o di un’attività, inserito a pieno titolo tra le pratiche commerciali sleali tassativamente contenute nell’apposita direttiva già rivista a fine 2019.

La «black list» europea si arricchisce perciò di pratiche quali l’omissione di informazioni sull’esistenza di una caratteristica introdotta nel bene per limitarne la durabilità, dichiarazioni ambientali generiche o vaghe, descrizioni del prodotto nel suo complesso ma riguardanti soltanto un determinato aspetto o l’esibizione di un marchio di sostenibilità avente carattere volontario che non è però basato su un sistema di verifica da parte di terzi.

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