Economia

«Dobbiamo mettere più soldi nelle buste paga dei lavoratori»

Zini (Confindustria): «Ora indispensabile tagliare il cuneo fiscale». Agliardi (Associazione Artigiani): «Il reddito ha fallito»
L’Italia è l’unico Paese Ocse in cui le retribuzioni medie lorde annue sono diminuite
L’Italia è l’unico Paese Ocse in cui le retribuzioni medie lorde annue sono diminuite
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Le patologie che affliggono il mercato del lavoro sono molte e non si possono ridurre al fenomeno disoccupazione. Ci sono i sottopagati e i lavoratori precari; c’è il problema degli stagionali costretti a lavorare anche 7 giorni su 7; gli interinali. Ma c’è anche il fenomeno del mismatch, ovvero la contemporanea presenza di posti di lavoro vacanti e persone che non lavorano e non cercano lavoro (nel Bresciano sono 235mila). Infine si parla sempre più insistentemente di «great resignation» (grande rassegnazione): dimissioni di massa per cercare un posto di lavoro «a misura d’uomo».

Nuovo paradigma

«Lo scenario è articolato e molto complesso ed è sbagliato pensare che la colpa sia solo delle imprese, solo della politica o solo dei giovani - spiega Roberto Zini, vicepresidente di Confindustria Brescia con delega al lavoro, welfare e relazioni industriali -. Le semplificazioni non funzionano. Siamo in presenza di un profondo cambiamento del paradigma lavoro, indotto dalla grande mobilità a livello internazionale e dalle nuove modalità di svolgimento improntate al benessere, come lo smart working che ha avuto una accelerazione negli ultimi due anni».

Cambiano i bisogni

La pandemia insomma sembra avere innescato nei lavoratori nuovi bisogni. «Per certi versi potremmo dire che oggi non è più l’azienda che sceglie il lavoratore, ma è il lavoratore a decidere chi è più capace di valorizzarlo. In questo senso è in atto una grande riflessione da parte delle imprese bresciane, l’obiettivo è aumentare la capacità di attrarre talenti e trattenere le persone». In Lombardia lo scorso anno quasi il 10% dei lavoratori (420mila) si è dimesso. Non si tratta di abbandono del lavoro, ma spostamento, verso nuove attività, dove trovare motivazioni e condizioni migliori. «Un riallineamento attivo tra domanda e offerta - spiega il vice presidente. La proporzione dà l’idea del fenomeno: le persone sono alla ricerca di un maggiore equilibrio vita-posto di lavoro».

Negli ultimi trent’anni l’Italia è l’unico Paese Ocse in cui le retribuzioni medie lorde annue sono diminuite, -2,9%. «Ci sono ovviamente distorsioni e casi inaccettabili che vanno criminalizzati. Ma quello del salario è il tema centrale. Dobbiamo mettere più soldi nelle busta dei collaboratori, soprattutto oggi con l’inflazione alle stelle. I 1.200/1.400 euro al mese per un lavoratore base sono pochi, ma bisogna tenere conto che quello stipendio costa all’azienda più del doppio».

Per Zini il tema va affrontato con una «grande battaglia per la riduzione del cuneo fiscale. «Confindustria ha già fatto proposte al Governo. Ma è vero anche che dobbiamo fare i conti con il livello di produttività che in Italia mostra forti ritardi rispetto agli altri Paesi europei. Noi abbiamo un "Pil per ora lavorata" a 61,3, ma la Francia è a 77,6, Paesi Bassi a 75, Germania 74,2. A un primo sguardo, quindi, sembrerebbe che lavoriamo tanto, ma lavoriamo male».

L’Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro? «Se lo chiedono in molti. La nostra mi sembra più una Repubblica fondata sui bonus: quello sui monopattini, sulle biciclette, sulle auto, sulle term e poi i rubinetti, ma anche il Superbonus. Interventi di sostegno non strutturali, che drogano il mercato, fannoaumentare i prezzi e spostano avanti il problema. Servono invece azioni strutturali e di lungo periodo». E il reddito di cittadinanza? «Va bene per quella parte della popolazione che non riesce a farcela, ma il principio con cui è stato concepito è sbagliato: l’elemento di inclusione sociale deve essere il lavoro, non il reddito senza lavoro. E un ruolo centrale lo devono avere le agenzie per il lavoro».

Gli artigiani

Bortolo Agliardi, presidente dell’Associazione Artigiani, è sulla stessa linea. «È risaputo tra gli addetti ai lavori che i centri per l'impiego non sono nelle condizioni di poter attivare le politiche attive per tutti i soggetti privi di occupazione; di conseguenza il reddito di cittadinanza continua ad essere solo assistenziale sapendo anche che il rifiuto dell’offerta lavorativa non è al momento tracciato». «L’intero sistema "assistenza, domanda/offerta di lavoro, controllo" non funziona - conclude Agliardi - e mi pare deviante affermare che la ragione risiede nel fatto che le aziende non pagano adeguatamente i ragazzi, perché laddove l’azienda è seria e si attiene ai Ccnl, frutto di contrattazione tra parti sociali, e se riconoscono trattamenti superiori, lo fanno valutandone la sostenibilità finanziaria e la marginalità residua in un contesto in cui il costo del lavoro resta il grande problema».

E ancora «A Brescia è stata attivata una forte sinergia tra associazioni di categoria, istituti scolastici e imprese. Basti pensare alle esperienze dell’alternanza scuola lavoro e apprendistato di primo livello. Non si accede al mondo del lavoro da manager, lo si diventa attraverso un percorso di crescita che richiede impegno di lavoratore e imprenditore».

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