Cottarelli: «Per sanare il debito partirei tagliando la burocrazia»

Carlo Cottarelli conosce a fondo i meccanismi dell’economia, ma ha sperimentato da vicino anche quelli della politica. Nel 2018, per pochi giorni, tentò invano di formare un governo tecnico su incarico del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella; eletto senatore nel 2022, ha lasciato la carica dopo otto mesi.
Sulla sua esperienza, Cottarelli ha scritto un libro: «Dentro il Palazzo» (Mondadori, 240 pagine, 19 euro) che presenterà stasera (23 agosto) alle 21 nel palazzetto dello sport di Ponte di Legno, nell’ambito del festival «Il sentiero invisibile» diretto da Stefano Malosso (ingresso libero).
In un racconto ricco di aneddoti e notazioni ironiche, l’economista - direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore - invita a riflettere sui problemi e le storture che gli appaiono all’origine del crescente distacco tra i cittadini italiani e la politica.
Prof. Cottarelli, il debito pubblico italiano si avvicina ai tremila miliardi. È un fattore di crisi?
«Perché avvenga una crisi analoga a quelle del 2011-’12 e del 1992 ci deve essere un fattore scatenante, qualcosa che fa scattare nella mente degli investitori la paura che, a certe condizioni, lo Stato italiano non possa più pagare. Nel 2020 questo fattore è stato il Covid, ma in quel caso sono intervenuti i pompieri della Bce. Se non c’è un elemento scatenante, possiamo andare avanti con questo debito; lo si sconta però in termini di tassi d’interesse più alti che lo Stato deve pagare, perché la possibilità di una crisi rimane comunque aperta. Questo vuol dire più soldi pagati in chi investe in titoli di Stato e meno risorse per settori come l’istruzione o la sanità».
Se lei fosse ancora nel Palazzo, cosa suggerirebbe?
«Per risolvere il problema del debito bisogna crescere di più. Con la crescita aumentano le entrate dello Stato e diventa tutto più facile. Per favorirla io partirei dalla riduzione della burocrazia: l’Italia deve diventare un Paese dove è più facile fare attività d’impresa, cosa che attualmente non avviene».
Lei ha sperimentato lo svuotamento subìto dal ruolo del Parlamento…
«Il funzionamento del sistema liberal-democratico, come l’abbiamo conosciuto negli ultimi 200 anni, comporta la divisione tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Quando il potere esecutivo diventa di fatto anche legislativo, si accentrano troppi poteri nelle stesse mani. È un cambiamento progressivo che verrà ulteriormente accentuato con l’elezione diretta del presidente del Consiglio».
Il premierato può peggiorare la situazione?
«Il principale potere che ancora ha il Parlamento è quello di mandare a casa il presidente del Consiglio con il voto di sfiducia. Col premierato il parlamentare saprà che, se vota contro il governo, si andrà probabilmente a nuove elezioni e quindi perderà il posto. Ci penserà molto bene… Quando una persona sola ha troppi poteri, inoltre, finisce in genere per montarsi la testa e prendere decisioni avventate che pagheremmo tutti noi».
Sull’altro versante c’è l’allontanamento dei cittadini dalla politica…
«Io spero che sia un fenomeno reversibile. Rimane il fatto che da più di 30 anni va avanti questa fuga dalle urne e non c’è alcun segnale di rallentamento. Tra il 1992 e il 2008 abbiamo perso in media annua mezzo punto percentuale di elettorato. Tra il 2008 e il 2018 abbiamo perso un punto. Tra il 2018 e il 2022 siamo saliti a due punti percentuali».
Perché questo avviene, a suo parere?
«Credo che ci sia un senso di sfiducia per l’andamento dell’economia italiana. I due Paesi con la maggior fuga dalle urne sono Italia e Grecia, quelli che hanno avuto il peggior andamento economico. La gente si è stufata e pensa che votando non cambierà nulla. Non sarà facile invertire questa tendenza».
Insiste sull’importanza di indicare come saranno finanziate le proposte economiche dei programmi elettorali…
«È un elemento, certo non l’unico, che garantirebbe più credibilità e consenso. Quando ero in Senato ho presentato una proposta di legge su questo tema: fare promesse senza dire dove saranno presi i soldi rende poco credibili».
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