Confapi Brescia sul Cbam: «La norma mette a rischio la manifattura»

L’entrata in vigore del Carbon Border Adjustment Mechanism (il cosiddetto Cbam), prevista per il 1° gennaio 2026, riaccende il dibattito sull’impatto delle politiche climatiche europee sull’industria manifatturiera.
La misura, che impone agli importatori europei un contributo per compensare il cosiddetto dumping ambientale delle merci provenienti da Paesi extra-UE, mira a livellare il costo della CO2 tra produttori europei e stranieri. Tuttavia, per Confapi Brescia, il rischio è che la norma finisca per colpire proprio le imprese che intende tutelare.
I parametri solo a marzo
Già nel 2024, l’associazione delle piccole e medie industrie bresciane aveva lanciato l’allarme, sottolineando come il Cbam potesse trasformarsi in «un boomerang per la competitività europea». Oggi, con la conferma che i parametri operativi ufficiali non saranno pubblicati prima di marzo 2026, a pochi mesi dall’avvio del sistema, le preoccupazioni si rinnovano.
«Il rischio – afferma il presidente di Confapi Brescia, Pierluigi Cordua – è che si punisca chi produce in Europa e si premi chi delocalizza. Così si incentiva la fuga verso Paesi come i Balcani o l’Asia, dove i costi ambientali non esistono o sono aggirabili».
Norma modificata
La recente pubblicazione del Regolamento UE 2025/2083 (approvata a Bruxelles con la firma del Governo guidato da Giorgia Meloni), che modifica il testo base del 2023, introduce alcune semplificazioni: una soglia unica di 50 tonnellate delle masse importate per esentare i piccoli operatori.
Una rendicontazione annuale posticipata al 30 settembre 2027 per le importazioni del 2026 e la possibilità di presentare le domande di autorizzazione Cbam fino al 31 marzo 2026. Inoltre, l’obbligo di acquisto dei certificati scatterà solo da febbraio 2027.
Il problema resta
Si tratta di interventi che riducono gli oneri burocratici ma non risolvono, secondo Confapi, il nodo centrale: l’incertezza normativa e l’assenza di una visione realmente inclusiva dell’intero ecosistema industriale europeo. «Condividiamo l’obiettivo del Cbam – aggiunge Cordua – ma non l’idea di un’Europa fatta solo di grandi produttori. Le Pmi sono il cuore della manifattura: senza di loro, la transizione verde rischia di diventare una selezione naturale».
La misura si inserisce in un quadro già complesso, segnato dalla progressiva eliminazione delle quote gratuite di CO2 entro il 2034 e dalla riforma del sistema ETS. «Questo doppio passaggio – spiega Cordua – rischia di generare un aggravio cumulativo: le imprese dovranno pagare sia il costo delle emissioni dirette sia quello implicito dei prodotti importati».
A ciò si aggiungono le limitazioni alle quote d’importazione dell’acciaio, che potrebbero sottrarre al mercato europeo fino a 3 milioni di tonnellate di coil, materia prima essenziale per la manifattura metalmeccanica. Il timore è che l’effetto combinato si traduca in una perdita di competitività per settori strategici come quello siderurgico.
«È un colpo diretto al cuore della manifattura europea – tuona il presidente di Confapi Brescia e Confapi Lombardia –. Senza acciaio competitivo, molte filiere rischiano la paralisi, già provate da costi energetici elevati e domanda interna stagnante». Per Confapi Brescia, il messaggio è chiaro: l’Europa deve «tornare a essere una casa per chi produce, non una gabbia normativa».
Serve una politica industriale pragmatica, che accompagni la transizione ecologica senza sacrificare la competitività. «Misure nate per difendere l’industria rischiano di ridimensionarla – conclude – se non saranno definite con chiarezza le regole e garantita alle imprese la possibilità di muoversi con realismo ed efficienza».
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