La cessione di Iveco a Tata Motors divide politica e sindacato

La cessione degli stabilimenti Iveco a Tata Motors continua ad agitare sindacato e politica. La scorsa settimana, il segretario della Camera del lavoro, Francesco Bertoli aveva definito il passaggio di mano dall’attuale proprietà agli indiani di Tata Motors una soluzione «non disprezzabile» e aveva motivato la sua posizione spiegando che «negli ultimi anni l’attuale proprietà non ha fatto investimenti seri per rendere Iveco competitiva e stare al passo con l’evoluzione tecnologica dell’automotive».
In Commissione
Il sito bresciano al momento è infatti interessato da nuove giornate di cassa integrazione. Ieri l’onorevole Gian Antonio Girelli (Partito Democratico) ha presentato alla Commissione lavoro della Camera una risoluzione per impegnare il governo a tutelare occupazione, produzione e competenze industriali nel quadro della cessione, chiedendo all’esecutivo che «eserciti i poteri previsti dal Golden Power, vigilando affinché lavoro, ricerca e sviluppo restino in Italia».

Sempre ieri davanti ai cancelli di via Volturno a «volantinare» c’erano i rappresentanti bresciani della sinistra italiana, con Rifondazione Comunista, Partito Comunista, Potere al popolo, Sinistra Anticapitalista e Risorgimento Socialista. Non in sintonia con la segreteria della Cgil cittadina, gli attivisti hanno spiegato i motivi della loro diffidenza e fatto alcune richieste, le stesse di cui parleranno venerdì 24 dalle 20 nell’assemblea pubblica organizzata con i lavoratori e le lavoratrici nella sala comunale di via Villa Glori 13, in città.
Gli obiettivi
Le richieste più pressanti sono due. La prima, ricordata da Ivano Mantovani, è la «realizzazione di un Piano industriale che spieghi cosa si produrrà a Brescia, quanti lavoratori serviranno, se ci saranno delocalizzazioni e quali saranno gli investimenti nelle singole unità produttive. Senza un Piano è lecito sospettare che la volontà sia impossessarsi della tecnologia di Iveco e poi, dopo i due anni per cui è stata garantita stabilità occupazionale, svuotarla ed eliminare dal mercato un concorrente».
La seconda, di cui hanno parlato Giorgio Cremaschi e Flavio Guidi e su cui insiste anche la Fiom, è «la presenza di un rappresentante dello Stato nel cda del gruppo, magari di Invitalia e Cassa depositi e prestiti, un po’ come fanno i francesi per controllare parti di industria di grande importanza».
Pericoli
I rischi? «Non coinvolgono solo i 1500 dipendenti di via Volturno – hanno sottolineato Gianpaolo Clemenza, Leonardo Marzorati e Carmelo Leuzzo – ma con l’indotto un bacino di 30.000 persone, tutti a spasso se Tata da metà 2028 deciderà di variare l’assetto dei primi due anni e toccare occupazione e produzioni».
Prese di posizione a livello nazionale arrivano anche dalla Fim Cisl e dalla Uilm. Il segretario generale Fim Ferdinando Uliano ha detto che «Con Leonardo c’è un elemento di certezza, ma l’operazione che preoccupa è quella con Tata, per la decisione di Exor di cedere», mentre il segretario nazionale Uilm, Gianluca Ficco, pur riconoscendo la solidità del gruppo acquirente, ha evidenziato «la sproporzione di forze che rischia di trasformare Iveco in una preda industriale». Secondo fonti sindacali, il ministro Adolfo Urso dovrebbe incontrare i rappresentanti di Tata il 28 ottobre.
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