Cultura

Vasco a San Siro? Come un pugno, sognando la carezza del teatro

Parla Diego Spagnoli, suo storico collaboratore: «I live sono un’esigenza che ha ancora dentro»
Davanti al pubblico, Vasco Rossi sul palco a San Siro
Davanti al pubblico, Vasco Rossi sul palco a San Siro
AA

Abbiamo una suocera che aveva prenotato il traghetto per la Sardegna mesi fa, ma alla quale nelle scorse settimane la compagnia di navigazione ha chiesto cortesemente di spostare il viaggio perché coincideva con i concerti di Vasco a Cagliari del 18 e 19 giugno e la richiesta di biglietti si era impennata. C’erano altri pellegrini da soddisfare, dunque. Questo per dire di cosa è capace il signor Rossi, e già lo immaginiamo mentre divide le acque del Tirreno per far passare i fan.

«Ci teneva a essere in Sardegna, sono passati nove anni dall’ultima volta», dice Diego Spagnoli, che da tre decenni dirige il palco del Blasco, del Komandante, di Vasco, insomma. Intanto lui, loro, cioè tutta la macchina legata a questa sorta di divinità vivente della musica italiana è a San Siro per le sei date milanesi del tour (1, 2, 6, 7, 11, 12 giugno) che seguono le due di Lignano Sabbiadoro. «Ma non è la macchina che va avanti - specifica il direttore di palco bresciano -. È l’artista. È il cantante che vuole andare avanti, che si vuole divertire, che vuole divertire. È un’esigenza sua».

Ad esempio, Spagnoli si sarebbe anche preso un anno sabbatico dopo il Modena Park del 2017, ma Vasco niente, si è riscoperto in gran forma: «Lui dice "io ho questa necessità" e quindi andiamo avanti». Inventandosi il Non Stop Live, che fa un po’ Never ending tour di Dylan: alla fine cosa vuoi fare, stare a casa a guardare Netflix? «Suonare ti tocca / per tutta la vita / e ti piace lasciarti ascoltare», avrebbe detto De André.

«A San Siro saranno in tutto 29 i concerti di Vasco, alla fine di questo tour, e non esagero dicendo che ogni volta è come se fosse la prima - aggiunge Spagnoli -. È molto bello, ma anche molto difficile da gestire dal punto di vista acustico». Ah sì? E noi che c’eravamo fatti l’idea che la Scala del calcio lo fosse anche del rock. «È un luogo chiuso con molte riflessioni sulle tribune e sul tetto, poi c’è da tenere sotto controllo la soglia del rumore. Non c’è solo la band, tra l’altro, devi calcolare il pubblico che canta».

E quanto canta: anni addietro ci furono battaglie dei residenti per silenziare San Siro, ma ora la situazione si è calmata. Lo spettacolo di quest’anno, comunque, non è che sia un festival dei sussurri, anzi. «Lo show è molto forte, è molto più un pugno che una carezza. Poi ci sono i momenti tra il dolce e l’amaro tipici di Vasco, ma in generale è molto energico».

Hanno iniziato a lavorarci alla fine dello scorso anno, introducendo i cambiamenti sul canovaccio del tour 2018 «perché è fisiologico che sia così». «Suonare è giocare, come si dice in francese o in inglese. Poi Vasco ha il vantaggio di non dover seguire le mode, ma di fare come vuole lui». Anche riproponendo pezzi tipo «Ti taglio la gola», che se uscisse adesso sarebbe massacrato dal neopuritanesimo social. «Bisogna essere capaci di capire l’ironia, se non fosse così sarebbe la fine»

Il pubblico continua a crescere, si allarga con nuovi adepti, rinnova il rito collettivo. «Vedo che le reazioni sono positive, le persone sono contente. In fondo le canzoni di Vasco non sono solo sue. Cioè le ha scritte lui, ma le persone le sentono proprie. Si rispecchiano in quelle parole». Un’ultima cosa: coroneremo mai il sogno di vederlo a teatro, magari alla Scala quella vera, con uno spettacolo mai visto finora? «Dico solo che lo vedrei bene, è difficile da realizzare, ma sarebbe una bella sfida».

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia