Cultura

Umberto Curi: «Non credete alla politica che promette la felicità»

Anita Loriana Ronchi
Il filosofo veronese è atteso martedì 10 giugno al Museo Il Forno di Tavernole sul Mella
Edipo e la Sfinge, sulla coppa di Vulci
Edipo e la Sfinge, sulla coppa di Vulci
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Umberto Curi entrerà nel cuore del tema che fa da fil rouge alla 20ª edizione del festival Filosofi lungo l’Oglio, con la sua conferenza dal titolo «Esistenza e felicità: un caso esemplare». Il noto filosofo veronese è atteso martedì 10 giugno, alle 21, al Museo Il Forno di Tavernole sul Mella, dove affronterà due tra le nozioni maggiormente indagate dai filosofi di tutti tempi. Ne parliamo con lo studioso, professore emerito di Storia della filosofia all’Università degli studi di Padova e docente alla facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Ha, tra l’altro, vinto nel 2018 il Premio Internazionale di Filosofia/Filosofi Lungo l’Oglio «Un libro per il presente» con il testo «Straniero» (Raffaello Cortina editore).

Professor Curi, ci introduca l’argomento della sua lectio magistralis “Esistenza e felicità: un caso esemplare”: di cosa tratterà?

Il tema della felicità è sempre stato al centro della riflessione filosofica, dalle origini della tradizione occidentale fino ai giorni nostri. Artisti, letterati, filosofi si sono interrogati sulle condizioni che rendono possibile raggiungere la felicità in questa vita. Fra i numerosi esempi che si potrebbero citare ho scelto di riferirmi anzitutto al protagonista della tragedia di Sofocle, «Edipo re». A conclusione della vicenda che è alla base della rappresentazione teatrale, commentando la sorte toccata a Edipo il coro esclama: «Nessuno potrà dirsi felice se non sarà giunto alla fine della vita senza aver sperimentato il dolore». Sofocle lascia intendere che ciò che è accaduto al re di Tebe, passato dalla massima felicità alla più disperata infelicità, può accadere a ciascuno di noi. Edipo può essere indicato come paradigma della condizione umana, costantemente protesa verso la felicità, ma insieme sempre esposta al rischio della sventura.

La nozione di felicità è stata interpretata in vario modo, dai filosofi che hanno sostenuto un’etica eudemonistica, ai “filosofi del rigore” come Kant. Lei come inquadrerebbe la questione?

A questo riguardo, per impostare correttamente il problema, è fondamentale l’insegnamento proveniente dalla Grecia antica, dove troviamo la distinzione fra due differenti nozioni di felicità. Anzitutto, il concetto di “makaria”, termine che indica uno stato di completa beatitudine, del quale possono godere soltanto gli dei e gli eroi caduti in battaglia per la difesa della propria patria. Da notare che il termine “makaroi” compare anche nel Nuovo Testamento, in particolare nel discorso della montagna dedicato a coloro che sono “beati”. Ben diverso è il concetto espresso col termine “eudaimonia”, col quale si fa riferimento all’unica forma di felicità raggiungibile dall’uomo, e cioè non la perfetta beatitudine, privilegio esclusivo degli dei, ma piuttosto la “contentezza”, l’accettare la propria condizione senza pretendere una perfezione irraggiungibile.

Ha recentemente pubblicato il volume «Miti d’amore. Filosofia dell’eros»: quale immagine dell’amore (toccando così, indirettamente, ancora la tematica della felicità) emerge dalle sue analisi?

Le considerazioni appena fatte valgono anche per quanto riguarda i grandi miti d’amore che ricorrono nella tradizione del pensiero occidentale. Con una particolarità, che evoca un problema in larga misura inspiegabile. Eco e Narciso, Orfeo e Euridice, Tristano e Isotta, Romeo e Giulietta (e molte altre figure simili) rinviano a storie di amore infelice. Sembra che l’Occidente non sia stato capace di trattare il tema dell’amore, se non nella sua connessione con la morte. Si tratta di un problema importante, che merita un’attenta riflessione.

Tornando al binomio esistenza-felicità, lei ritiene possibile per l’uomo contemporaneo essere felice? E, in caso affermativo, come può declinare la propria esistenza per raggiungere tale obiettivo?

La felicità non è di questo mondo. Anzi, si può affermare che la massima infelicità scaturisce spesso dalla pretesa di conseguire una piena felicità. Per quanto riguarda il nostro tempo, il fenomeno saliente è stato, ed in parte è ancora, la promessa di assicurare la felicità da parte della politica. Dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti, attraverso la Rivoluzione francese, fino ai regimi comunisti, la politica si è proposta come mezzo per conseguire la felicità. Col risultato di dare ragione a Kant, quando affermava che il proposito di assicurare la felicità tramite la politica trasforma il sovrano in un despota e un cittadino in uno schiavo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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