Cultura

Manipolazione delle masse: dalla Grande Guerra ai neopopulismi

Riedita da Treccani la voce «Propaganda» elaborata nel ’97 dal sociologo McQuail: l’introduzione è di Massimiliano Panarari
D'Annunzio arringa la folla a Genova il 5 maggio 1915
D'Annunzio arringa la folla a Genova il 5 maggio 1915
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La voce «Propaganda» scritta da Denis McQuail nel 1997 per l’Enciclopedia delle Scienze sociali della Treccani, è stata ora riedita dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, nella forma di agile volume, con una corposa introduzione di Massimiliano Panarari, sociologo ed editorialista di varie testate, tra cui il Giornale di Brescia. Il breve saggio del sociologo della comunicazione britannico «procede secondo una prospettiva genealogica» e risulta ancora oggi molto prezioso non solo perché analizza con grande acutezza il concetto di propaganda a partire dalle sue origini nell’ambito della Controriforma cattolica (la Congregatio de Propaganda Fide, istituita il 22 giugno 1622) esplorandone le diverse mutazioni, ma anche perché, ci ricorda il curatore, si presenta come un’utilissima rassegna di tutte le riflessioni novecentesche sul tema.

Veicolare le percezioni

McQuail descrive la propaganda come una forma di comunicazione che intende influenzare l’opinione pubblica attraverso messaggi persuasivi, non di rado basati su tecniche psicologiche, allo scopo di veicolare in una certa direzione le percezioni delle persone su questioni di interesse pubblico. A prescindere da ogni considerazione di ordine etico, il tema della propaganda appare strettamente connesso alla questione del controllo dei mass media e a quella delle tecniche di comunicazione professionale che hanno un ruolo decisivo nella diffusione di messaggi propagandistici.

Una storia che secondo MacQuail («il cui approccio è dotato di un robusto impianto storiografico»), ha il suo vero punto di partenza nella Prima guerra mondiale, quando la propaganda «è diventata un’attività autocosciente, pianificata e su larga scala, oltre che oggetto di discussione pubblica e di analisi scientifica». É una collocazione temporale strettamente connessa alla nascita di nuove forme di comunicazione di massa, ma soprattutto alla necessità di coinvolgere la popolazione civile per sostenere in modo adeguato lo sforzo bellico. Tuttavia, se è vero che il problema della propaganda ha assunto una rilevanza epocale a partire dal 1914, non va però dimenticato che il suo effettivo battesimo, come ci ricorda opportunamente Panarari, va collocato nel momento in cui «hanno fatto il loro ingresso sul palcoscenico evenemenziale le masse».

Denis McQuail
Denis McQuail

La propaganda nasce con la contemporaneità, frutto delle rivoluzioni settecentesche che hanno permesso la trasformazione dei sudditi in cittadini, vale a dire in soggetti «costituzionali» virtualmente detentori di un inedito quanto pericoloso ruolo politico. La loro ingombrante presenza andava dunque necessariamente integrata all’interno del nuovo universo simbolico, quello della nazione, a cui paradossalmente davano il loro contributo, loro malgrado, anche le forze anti sistema.

Significativo, da questo punto di vista, l’esempio, introdotto da Panarari in relazione al caso italiano, della didascalica propaganda socialista di fine ‘800 in Italia. La sfera pubblica della contemporaneità liberale non può di conseguenza in alcun modo essere disgiunta dalla costruzione, anche conflittuale, del consenso al sistema rappresentativo, senza il quale i governi sono privi di ogni efficace legittimazione politica. In questo senso la propaganda ci appare strettamente correlata all’immaginario della crisi politica, non importa se per diffonderlo o scongiurarlo, e di conseguenza i veri «professionisti» della propaganda non possono che essere gli intellettuali.

«Politics of misinformation»

Come ha scritto lo studioso francese Ellul, «gli intellettuali sono anzitutto i depositari dei ‘messaggi’: essi sono gli specialisti della parola, possono agire sul pubblico, perché sono quelli che maggiormente utilizzano mezzi di comunicazione di massa». Panarari non manca di mettere in luce la crescente scivolosità dell’argomento, soprattutto se si guarda al XXI secolo. Infatti, se McQuail ha potuto affermare che «la propaganda non contiene necessariamente menzogne o falsificazioni», per quanto possa «essere considerata una forma estrema di persuasione con aspetti potenzialmente coercitivi», oggi, nella «società dell’Io e della postverità», risulta molto difficile riuscire a disgiungere la propaganda da una consapevole e organizzata attività manipolatoria.

Le retoriche e il registro comunicativo del neopopulismo degli anni Duemila – secondo il curatore – hanno contribuito potentemente a una ‘politics of misinformation’. Non si tratta delle fake news in quanto tali, da sempre utilizzate come strumento di manipolazione propagandistica, ma della loro attuale «capacità di impattare sui soggetti e sui gruppi sociali con una velocità e un coinvolgimento mai visti prima nella storia della disinformazione».

In conclusione, scrive Panarari, «partendo anche dalle riflessioni di McQuail, si possono compendiare i seguenti elementi chiave della propaganda come pratica comunicativa: la menzogna; la censura e la negazione delle informazioni oppure la sua selezione in un’ottica strategica; l’esagerazione; gli appelli affettivi e all’emozione (volti a suscitare desiderio oppure a instillare paura); il ricorso a una retorica linguistica o a una narrazione visuale che sollecitano direttamente o, comunque, privilegiano gli aspetti non razionali della comunicazione».

Disordine informativo

Si tratta di forme che si adattano alla «generale ed estesa condizione di disordine informativo che connota la post sfera pubblica», alimentando così «la sfida neopopulista alla trasfigurata democrazia liberal rappresentativa». McQuail d’altronde lo aveva previsto, trasmettendoci però anche un segnale di speranza: la propaganda «assumerà forme sempre più sottili e differenziate a mano a mano che si diversificano le possibilità dei media. Tuttavia essa non sarà dimenticata, e la memoria potrà servire da efficace ammonimento contro futuri ‘persuasori occulti’, che saranno sempre all’opera». 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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