Cultura

Lo zoo del Castello e altre storie di Brescia nel nuovo numero di Biesse

Il numero 31 della rivista storica della Fondazione Negri ripercorre la vicenda dello giardino zoologico, la nascita della Caffaro e molti altri capitoli della storia bresciana. In edicola dal 12 novembre con il Giornale di Brescia
I leoni dello zoo in Castello - Foto Fondazione Negri
I leoni dello zoo in Castello - Foto Fondazione Negri
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Lo storico Zoo del Castello di Brescia, nato nel 1912 e chiuso definitivamente nel 1988, è in primo piano sul nuovo numero della rivista Biesse, il periodico bimestrale edito da Fondazione Negri e dedicato alla storia della provincia bresciana. Il fascicolo numero 31 sarà in edicola da mercoledì 12 novembre con il Giornale di Brescia, a 8 euro più il prezzo del quotidiano.

Lo zoo in Castello

Il numero 31 di Biesse, la rivista storica della Fondazione Negri
Il numero 31 di Biesse, la rivista storica della Fondazione Negri

Il Giardino zoologico dei bresciani ebbe come primo ospite una leonessa – non a caso simbolo della città – chiamata Sadisc, catturata nella giungla dell’Uganda e poi trasportata nel luogo che inizialmente aveva preso il nome di «Fossa dei Leoni».

È l’inizio di una lunga avventura, tra chiusure e riaperture, con nuovi esemplari introdotti di volta in volta, ed un successo strepitoso del «mondo di favola dello zoo». Fino a quando, nel 1975, il Giornale di Brescia annotava «più funerali che nascite, e una graduale diminuzione di visitatori» allo zoo; nell’ottobre del 1988, a decretare la fine di un’epoca, l’Amministrazione comunale giungeva alla decisione della definitiva chiusura.

La rivista che racconta senza nascondere

«Fra le opzioni che Biesse ha scelto di seguire in tutti i suoi numeri – scrivono nell’editoriale l’editore Mauro Negri e il direttore Marcello Zane –, non manca la volontà di evitare nascondimenti, presentando aspetti che non sempre, al tempo o nel loro successivo svolgimento, hanno mostrato gradevolezze.

Le immagini in fondo non mentono (ma si possono non rendere visibili) e i testi hanno sempre cercato di non obliare passaggi scomodi o poco edificanti. In altre parole, che ci piaccia o meno, le pagine di Biesse hanno mostrato ai lettori forme, edifici, abitudini, ambienti, non sempre indice di modernità o di benessere o, come diremmo oggi, di sostenibilità e condivisione».

Dalla Caffaro all’Iveco

L'interno dello stabilimento Caffaro all'inizio del '900 - Foto Fondazione Negri
L'interno dello stabilimento Caffaro all'inizio del '900 - Foto Fondazione Negri

Così, sfogliando le pagine del nuovo fascicolo di Biesse, si ripercorre la nascita e l’avvio della Società Caffaro, grazie all’inventiva ed alla tenacia dei tre chimici milanesi Pietro Curletti, Cesare Zironi e Luigi Erba (fratello del noto industriale farmaceutico Carlo), «al tempo ben voluta da sindacati e municipalità», pronta ad offrire lavoro e soluzioni innovative all’agricoltura italiana.

Il cinquantenario di Iveco è occasione anche per rievocare sviluppi e vicende di più ampio respiro che risalgono ai primi anni del Novecento.

La città che cambia e la memoria collettiva

La sempre interessantissima sezione «La città che cambia» narra, nell’ambito della ricorrenza degli 80 anni del nostro quotidiano, «15 minuti di storia in piazza della Loggia», quando il presidente francese De Gaulle e il presidente italiano Gronchi transitarono il 25 giugno 1959 in corso Zanardelli per le celebrazioni del centenario dell'unità d'Italia.

Ma, con il consueto corredo di immagini storiche dall’archivio della Fondazione, trovano spazio anche la «chiesa di quartiere» del Carmine, grandioso esempio di architettura gotica e, su un altro versante, il «palazzo dell’industriale Togni», dall’originale forma progettata alla fine degli anni Venti dall’architetto Egidio Dabbeni.

Gli spaccati di «Vita bresciana» ci riportano alla vicenda delle tabaccherie, «luoghi di fumo» e di fatto dispensatrici di un vizio che la scienza ha poi dimostrato dannoso alla salute.

Ponti, castelli e volti della provincia

La «provincia dinamica» rivive e vibra in un «nome certo», il ponte di Pontevico, gettato quasi a simboleggiare proprio «la storia sopra e sotto» e nel rifugio Valtrompia per il Guglielmo, oltre che nel Castello di Padenghe, roccaforte popolare che racchiude e sorveglia il paese antico.

La costruzione del ponte sul fiume Oglio a Pontevico - Foto Fondazione Negri
La costruzione del ponte sul fiume Oglio a Pontevico - Foto Fondazione Negri

Il personaggio su cui si accendono questa volta i riflettori è l’ing. Giuseppe Foresti: originario di Lovere, già volontario nella campagna della III Guerra di Indipendenza nel 1866 a fianco di Garibaldi, è artefice di una brillante carriera, segnata però dalla prematura scomparsa, che le straordinarie immagini scattate nell’anno 1907 sembrano presagire in un gioco di luci ed ombre.

Ed altro ancora continua a raccontare Biesse: spiragli del passato prossimo che appartengono a quanti oggi vivono Brescia e vogliono conoscere la sua storia.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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