Pons: «Berlinguer, il comunista che rispose alla crisi del comunismo»

Prosegue domani, sabato, alle 20.30 nella Sala dei Provveditori sul lungolago di Salò, il Garda Lake History Festival su «Il Novecento e oltre». Lo storico Silvio Pons interverrà sulla figura di «Enrico Berlinguer». Gli abbiamo chiesto qualche anticipazione.
Silvio Pons, la figura di Berlinguer risulta tutt’oggi tra le più popolari della prima Repubblica. Eppure, non pare essere in sintonia con lo spirito dei tempi. È stato un comunista ed è diventato un mito quando il comunismo stava sprofondando per poi uscire dalla storia. Come è nato e come si perpetua il mito di questa figura di comunista fuori tempo?
È una bella domanda cui è difficile dare una risposta. Forse, semplicemente non ne richiede una sola. Per capire il personaggio sarebbe opportuno anzitutto mettersi alle spalle due stereotipi che si sono creati sulla figura di Berlinguer. Il primo è quello del Berlinguer profeta, ossia del Berlinguer che ha visto in anticipo problemi venuti a maturazione soltanto dopo, non solo in Italia, ma più in generale nel mondo: ambientalismo, questione di genere, il rischio atomico. Il secondo stereotipo è quello creato dei suoi nemici politici: un Berlinguer arcaico che non capisce la modernità del tardo Novecento, che si è attardato sulle vecchie posizioni del comunismo. Insomma, un Berlinguer legato al passato. Questi stereotipi impediscono di andare al nocciolo della questione. Non basta però respingerli per andare al cuore del problema.
In che senso?
Berlinguer ha avuto un rapporto complesso, anche contraddittorio, con la modernità. Questo ci aiuta a capire la popolarità di cui continua a godere. Modernità significa cose molto diverse. La sua modernità è di aver affrontato dei problemi che continuano a essere tra di noi: i temi della cittadinanza, della partecipazione, dei diritti, la visione internazionale del mondo. Questo lessico politico è stato liquidato. Viviamo in un’epoca di impoverimento della politica. Berlinguer su questi temi ci può fornire ancora tante utili indicazioni.

Una domanda che può apparire una provocazione. Più che la sua proposta politica (un comunismo al riparo della Nato, l’eurocomunismo sottratto alla casa madre di Mosca, una società che sposi uguaglianza sociale e libertà politica), una proposta questa destinata ad essere messa presto fuori gioco dalla storia, non è che gli abbia procurato un’enorme popolarità invece la sua figura di politico sincero, genuino, disinteressato, che interpreta la politica nel senso nobile del termine. Proprio il contrario del politico professionista, che diventa nell’Italia di fine secolo il prototipo del tangentaro su cui si costruisce il rifiuto della politica, diciamolo dell’antipolitica.
Penso che questo sia molto vero. Se ci limitiamo però a guardare alla sua popolarità rischiamo di perdere di vista qual è stato il suo tratto distintivo di politico. Berlinguer è stato un comunista che voleva dare risposte in presenza della crisi del comunismo, proprio quando gli altri comunisti non erano in grado di farlo. Se guardiamo al resto, alle nuove istanze che s’impongono (l’individualismo, la ricerca dell’auto-realizzazione), allo stesso nuovo linguaggio della politica, affidata ormai alla televisione, dobbiamo dire che Berlinguer non è in sintonia col suo tempo, non è uomo mediatico, non parla all’italiano degli anni Ottanta del “tutto privato e niente pubblico”. Emerge qui la contraddizione centrale che si gioca tra la sua proposta politica e la sua immagine. Egli riesce a essere popolare anche senza concedere nulla all’immagine mediatica.
Ultima questione: il duello a sinistra che ha avuto tanta parte nella sua vita politica.
Craxi era certamente più in armonia con l’epoca: la sua idea di un socialismo liberale, una proposta politica nel complesso molto più in linea con i tempi. Il fatto è che sia Craxi che Berlinguer si portavano dietro una storia (e un carattere) per non intendersi. E così alla fine hanno perso tutti e due la sfida apertasi dopo la caduta del muro di Berlino di dar vita a quel grande partito della sinistra democratico e riconciliato con la società di mercato che in Italia non c’è mai stato. Potevano vincere tutti e due e hanno perso tutti e due.
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