Dietro i murales monumentali di Vera Bugatti ci sono due vite: le sue

A Nuvolera c’è un muro che si vede anche di notte. Mille metri quadrati di cemento armato dipinto: un’opera monumentale che racconta dell’essere umano, della natura e del loro rapporto. L’ha realizzata Vera Bugatti, artista bresciana conosciuta per i suoi murales colossali. Quello di Nuvolera è solo l’ultimo in ordine di tempo: ci sono quello al Parco dell’Acqua, quello realizzato per l’Associazione degli artigiani, l’anziana al quartiere San Bartolomeo a Brescia... Pochi, però, sanno che la sua vita si divide tra queste enormi pareti e i più discreti libri antichi. Perché Bugatti non è solo artista visiva: è anche bibliotecaria.
«Ho sempre vissuto due vite parallele – racconta –. Chi mi vede sulle gru non immagina che passo il resto della settimana tra scaffali e incunaboli. E chi mi incontra in biblioteca non sempre sa che dipingo muri in giro per il mondo».

La doppia vita tra libri e street art
Il suo percorso è cominciato con gli studi in beni culturali all’università di Parma, dove si è appassionata alla ricerca storica. «Ero convinta che avrei fatto la ricercatrice, studiavo testi del Cinquecento. Ma non mi trovavo a mio agio nel parlare in pubblico e credo che sia una competenza fondamentale». Dopo la laurea è approdata quasi per caso nella biblioteca diocesana ospitata nell’ex seminario di Mompiano, un grande fondo antico. «Inizialmente mi sono dedicata solo a questo e solo in un secondo momento mi sono dedicata all’arte. Non ho però voluto lasciare la biblioteca: ho sempre temuto che, se mai l’arte fosse diventata un lavoro, avrei perso la passione. Così oggi passo tre giorni alla settimana in biblioteca e il resto lo dedico ai muri».
La sua è una quotidianità scandita da partenze, ritorni e incastri in agenda. «Capita di finire un turno, prendere l’aereo per la Danimarca, dipingere per una settimana e tornare in biblioteca due ore dopo essere atterrata. Ma così, mantenendo i due lavori, posso permettermi di accettare di dipingere solo quando realmente lo voglio, con la libertà di poter dire di no».
Da madonnara ad artista di murales
L’arte urbana per lei è arrivata nel 2007, con le anamorfosi su asfalto. «Mentre stendevo la tesi di laurea ho scoperto il festival dei madonnari di Curtatone. All’inizio copiavo Caravaggio, poi ho iniziato a creare lavori miei. Le opere erano enormi e sparivano in pochi giorni. Mi affascinava quell’impermanenza».
Nel 2015 il passaggio alla parete. «Un amico messicano, lo street artist Carlos Alberto, a un certo punto mi propose di fare un muro insieme in Germania: una ragazzina con una papera tra le braccia. Mi piacque moltissimo. Poco dopo mi contattarono dalla Danimarca, ricordandosi di me perché avevo vinto un premio in precedenza. Anche lì si trattava di un muro e pure in quel caso lavorai con Carlos Alberto, a cui chiesi una mano. Lì capii che era quello che volevo fare: il messaggio restava, non spariva dopo una pioggia».
Inizialmente, quindi, Bugatti ha lavorato quasi solo ed esclusivamente all’estero. «Fino al 2019, suppergiù. Il primo muro a Brescia è stato per il Link Festival curato da True Quality: l’anziana con la bilancia a San Bartolomeo. Da lì si è sbloccato tutto. Poi è arrivato il Covid, ma proprio in quel periodo hanno iniziato ad arrivare le prime richieste in Italia. Ho avuto una carriera al contrario: prima fuori, poi qui».
Tornando alla formazione da bibliotecaria e agli studi umanistici, tutto è collegato: «Non ho fatto l’accademia d’arte, sono autodidatta. Pesco dai miei studi, dai testi antichi, dai simboli, dalle eresie del ’500… L’attenzione per i libri ritorna nei miei lavori».
Il muro di Nuvolera
Il suo ultimo intervento è la parete monumentale di Euro Mas a Nuvolera, un progetto nato dall’incontro con Andrea Massolini, titolare dell’azienda. «Aveva costruito un capannone nuovo e aveva lasciato una parete grezza, apposta per un mio lavoro. Mille metri quadrati: quando l’ho vista mi sono sentita un microbo». Il percorso dall’idea alla realizzazione è stato lungo. «Durante il primo incontro con Massolini abbiamo parlato del senso della vita, di filosofia, di perdita, di montagna (il Cervino è la sua montagna del cuore)...».
La lavorazione è durata ventisette giorni, quindici ore al giorno. «Faceva un caldo terribile, il cemento bolliva. Dopo il primo giorno avevo 39 di febbre, ma sono andata avanti. Mi hanno aiutata Fabio Maria Fedele da Rovigo e Nicolò Belandi da Brescia. Preziosissimi». Il muro ora è visibile anche di notte, grazie all’illuminazione installata dall’azienda. «È un segno che resta, visibile a tutti quelli che passano in automobile».

Il titolo riprende, con qualche variazione, la celebre domanda di Gauguin «Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?» e diventa il filo rosso di un percorso che non cerca risposte ma profondità. L’opera, spiega Bugatti, si svolge in un Eden sospeso, un luogo dove umani e animali convivono immersi nella Natura, con il Cervino sullo sfondo. L’artista vuole che lo spettatore si muova liberamente, senza un ordine fisso, perché ogni scena contiene in sé le tre domande. Il tempo che viviamo è drammatico e imprevedibile, pieno di interrogativi, spiega Bugatti, che per questo ha immaginato figure simboliche delle fasi della vita. La donna anziana, con un albero nella borsa, custodisce le radici e la memoria. Il bambino assorto accanto al libro di Pitagora rappresenta la ricerca delle origini. La ragazza nella barca senza remi, circondata da animali e oggetti-simbolo, è la vita che naviga tra incertezza e speranza. Infine, la donna tra i fiori e la lince guarda verso chi osserva: è un richiamo alla consapevolezza, un monito silenzioso.

Arte e libertà
Accanto ai grandi muri, Bugatti porta avanti una ricerca più intima nei luoghi abbandonati. «Sono gli interventi che sento più miei. Piccole opere monocrome, spesso legate a momenti difficili. Ho avuto problemi di salute e la prima di questa serie l’ho fatta in un ex ospedale psichiatrico. Volevo nutrire l’essenza di quei luoghi, in cui la natura entra negli edifici. Sono lavori catartici: due o tre all’anno, a volte in una chiesa, in un manicomio, in un’area industriale. Anche lì metto la mia vita sul muro, ma in modo più profondo».

Bugatti non nasconde le fatiche di questo mestiere. «L’anno scorso ho pensato di smettere. Quando ti fermi, tutto si ferma. È stato un periodo duro, anche per la mia famiglia. Mi sono chiesta se valesse la pena continuare. Ma poi è arrivata questa occasione e mi ha rimessa in moto».
La sua libertà passa anche dal rifiuto delle commissioni troppo vincolanti. «Non accetto tutto. Voglio carta bianca, anche se significa perdere tre quarti dei lavori. È il prezzo della libertà. Ma è l’unico modo per non tradire il senso di quello che faccio».
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