Arte

Cent’anni di Leica, Berengo Gardin: «Sono un fanatico, ne ho ventidue»

La piccola, solida macchina fotografica che usava anche Cartier Bresson è apparsa sul mercato nel 1925: il 95enne Gianni Berengo Gardin ce l’ha al collo da inizio carriera
Gianni Berengo Gardin durante una delle celebrazioni del centenario della Leica - Foto Facebook, Leica Camera
Gianni Berengo Gardin durante una delle celebrazioni del centenario della Leica - Foto Facebook, Leica Camera
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Quando è nato, il primo modello della macchina fotografica che avrebbe tenuto al collo per tutta la vita esisteva solo da cinque anni. Nel 2025 ne compiono cento lei e novantacinque lui: un bel tratto di strada l’hanno percorso insieme. Ecco perché Gianni Berengo Gardin è una delle persone al mondo che meglio conoscono la Leica, piccola e solida camera che gli si vede sempre, sempre, sempre tra le mani. Anche quando è a Brescia. Sempre più spesso, peraltro: è presidente di Cavallerizza, centro per la fotografia italiana in via Cairoli. Un luogo «straordinario», come dice lui.

E se è scontato dire che Brescia ha grande stima nei suoi confronti, è altrettanto vero che il rispetto è reciproco: «Brescia fa per la fotografia più di ogni altra città italiana, anche più di Milano e Roma. Ha un occhio attento. Le sono molto riconoscente», ci svela prima di raccontare del suo rapporto con la Leica.

Gianni, qual è il motivo pratico o romantico per il quale scelse la Leica?

All’epoca era un mito: Cartier Bresson, Capa e tutti i grandi autori della Magnum la usavano. Quindi non fu una scelta, ma una necessità. Solo usandola ho capito perché era meglio di tutte le altre: ne sono diventato un fanatico e man mano che uscivano ho comprato tutti i nuovi modelli e modifiche.

Una delle foto di Gianni Berengo Gardin («A couple kissing on a bench», 1954, Parigi) - Foto © Gianni Berengo Gardin
Una delle foto di Gianni Berengo Gardin («A couple kissing on a bench», 1954, Parigi) - Foto © Gianni Berengo Gardin

Quante ne ha?

Vendidue. L’ultima è la M7, non ho mai comprato le digitali.

Nemmeno provate?

Sì, ma la mia generazione è legata alla pellicola. Se rinasco fotografo userò il digitale, ma in questo momento resto fedele all’analogico. La foto è nata con la pellicola, e purtroppo sta morendo con la pellicola. Il digitale è un’altra cosa. Cartier Bresson diceva di scattare tre, quattro foto a un soggetto interessante. Oggi i giovani fanno sessanta foto a soggetti insignificanti. Tempo fa a Milano c’era la pubblicità di una macchina digitale che diceva: «Non pensare, scatta». Io dico il contrario: «Pensa. Poi, casomai, scatta». Non serve scattare sempre.

Il digitale influisce negativamente anche sugli archivi?

Il cartaceo resiste per sempre, il digitale non sappiamo, perché cambiano sempre i mezzi di lettura. Io sono per il cartaceo in tutti gli ambiti. Non so come fanno quelli che leggono i libri digitali. Io se un libro non è stampato su carta – e su un dato tipo di carta – non lo leggo. Non mi piace.

E lei di libri se ne intende...

Ne ho pubblicati 264 e a breve ne usciranno altri due: uno a settembre sull’India (la riedizione di un lavoro del 1977) e poi un’opera omnia con grande editore, un volume grossissimo con 400 foto. Non l’avevo mai fatto. C’è un assaggio di tutte le cose che ho fatto.

Giuseppe Ungaretti ritratto da Gianni Berengo Gardin nel 1968 a Venezia mentre saluta i contestatori della Biennale d'Arte - © Gianni Berengo Gardin
Giuseppe Ungaretti ritratto da Gianni Berengo Gardin nel 1968 a Venezia mentre saluta i contestatori della Biennale d'Arte - © Gianni Berengo Gardin

Quindi quale possiamo dire sia il suo rapporto con la Leica?

Ciò che mi interessa fotografare è la commedia umana, e quella la pigli solo con la Leica, con il vantaggio che ha un mirino a traguardo, non reflex. Permette di vedere il soggetto, ma anche ciò che c’è intorno, spostando l’occhio. Non è come il digitale o le reflex che mostrano solo ciò che abbraccia l’obiettivo. Per me è come la macchina da scrivere per lo scrittore. Dà la possibilità di raccontare l’essere umano e la vita.

Gianni Berengo Gardin con la sua Leica - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Gianni Berengo Gardin con la sua Leica - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Qual è lo scatto che più di tutti rappresenta il suo rapporto con la Leica?

Le foto di reportage, di movimento: lì è indispensabile. Ma anche per le foto più pensate e posate va benissimo. Va bene per tutto: dalla natura morta al reportage di vita.

Anche Cartier Bresson usava la Leica, come ha detto lei…

Sì. Un giorno mi scrisse su un libro una dedica: «A Gianni con simpatia ed ammirazione». Sarei potuto morire il giorno dopo: me ne sarei andato felice. È stato il massimo riconoscimento che ho ricevuto, più di qualunque altro premio.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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