Campi: «Gentile aderì al fascismo senza essere fascista»

Nicola Rocchi
Lo storico a Librixia: «Nel regime vide la possibilità di creare una tessitura culturale unitaria della nazione, ma fu un abbaglio»
  • Alessandro Campi a Librixia
    Alessandro Campi a Librixia - Foto New Reporter Zanardelli © www.giornaledibrescia.it
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L’uccisione del filosofo Giovanni Gentile ebbe luogo il 15 aprile 1944 a Firenze, ad opera di un gruppo di partigiani dei Gap, i Gruppi di azione patriottica. Ministro della Pubblica istruzione dal 1922 al 1924, grande organizzatore culturale, direttore scientifico dell’Enciclopedia italiana Treccani, Gentile nell’autunno del ’43 aveva aderito alla Repubblica di Salò. «Ne pagò un prezzo altissimo – dice Alessandro Campi – ma anche attraverso la sua morte iniziò una storia nuova dell’Italia».

L’incontro

Campi è professore ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia. Ospite ieri a Librixia – la Fiera del libro di Brescia, promossa dal circolo culturale Ancos di Confartigianato Brescia e Lombardia con il Comune di Brescia – lo studioso ha dialogato con lo storico Roberto Chiarini attorno al suo libro «Una esecuzione memorabile. Giovanni Gentile, il fascismo e la memoria della guerra civile» (Le Lettere, 242 pp., 19 euro), nel quale ha cercato di chiarire le ragioni che spinsero il grande filosofo a restare legato al regime fino alla sua fase più estrema.

«Gentile – è la tesi di Campi – aderisce al fascismo non essendo fascista: la sua ambizione è di far diventare il fascismo gentiliano. È un uomo del Risorgimento per formazione intellettuale e filosofica. Raggiunta l’unità d’Italia, il suo obiettivo era la creazione di una tessitura culturale unitaria della nazione. Nel fascismo vide la possibilità di completare quel processo unitario su base politica. Fu un abbaglio storico epocale, perché il fascismo era in realtà l’anti-Risorgimento».

Giovanni Gentile con Mussolini
Giovanni Gentile con Mussolini

Guerra civile

Campi sottolinea che la sua uccisione avvenne «nel contesto di una guerra civile. Sono molti in Italia gli intellettuali, fascisti e non solo, che pur avendo detto e scritto cose atroci non hanno mai pagato lo scotto delle loro responsabilità. Lui, invece, ha messo tutto sé stesso nel gioco tragico della politica, con un senso testardo della coerenza non si è tirato indietro».

Nella sua morte, «subito rivendicata al massimo livello dal Partito comunista», qualche storico ha voluto vedere complotti inesistenti: «Era un bersaglio facile, senza nessuna scorta e ad alto impatto simbolico e politico; anche per la sua insistenza, dopo l’adesione alla Rsi, sulla necessità di una pacificazione nazionale che consentisse di non disperdere il lascito del Risorgimento. Una visione irricevibile in quel contesto, espressa con appelli generosi ma completamente fuori dalla storia».

L’eredità dell’Enciclopedia

Quell’esecuzione «è il simbolo di un passaggio d’epoca» nel quale, tuttavia, «la verità di Gentile in parte continua a vivere. L’Enciclopedia italiana è un monumento della cultura nazionale, che nessuno ha pensato di buttare a mare con le altre cose fatte dal fascismo. Lo stesso è avvenuto per molte altre sue iniziative: ha creato un’architettura di istituti culturali che gli sono sopravvissuti. Nel suo fallimento, aveva ragione: bisognava aiutare l’Italia a creare un tessuto culturale unitario».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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