Cultura

Il Teatro Grande spiegato bene: una meraviglia nel cuore di Brescia

Non è solo un monumento alla storia italiana, anche maliziosa, ma è anche legato all'emozionante successo della Madama Butterfly
La Sala Grande del Teatro Grande di Brescia - Foto New Reporter Umberto Favretto
La Sala Grande del Teatro Grande di Brescia - Foto New Reporter Umberto Favretto
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L'interesse nei confronti della storia del Teatro Grande di Brescia si sta ridestando nell'ultimo periodo, forse anche grazie al fatto che a breve ospiterà un incontro con il regista Quentin Tarantino (sold out in tempi record), o forse per merito della visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che a gennaio 2023 si è accomodato in prima fila in occasione dell'inaugurazione dell'anno di Capitale della Cultura attirando gli sguardi di appassionati e curiosi in diretta nazionale.

L'interesse, in ogni caso, è giustificato: il Teatro Grande di Corso Zanardelli non rappresenta solo la storia italiana (anche quella più maliziosa dei teatri frequentati come spazi sociali), ma è protagonista di alcuni eventi particolarmente emozionanti, come il successo della Madama Butterfly dopo un clamoroso fiasco alla Scala.

La storia (in breve)

La storia del Teatro Grande è stratificata, mondana e culturalmente molto intrigante, e deve tutto all'Accademia degli Erranti: fu infatti quest'istituzione bresciana a volere fortemente uno spazio cittadino dedicato all'opera durante gli anni dello sviluppo di quest'ultima. Si impegnò quindi a fondare e gestire il Massimo cittadino, istituendo il primo teatro nel 1664. Si chiamava Teatro degli Erranti, e ad esso seguirono altri due teatri. Quello attuale è una ricostruzione ottocentesca del primo Teatro Il Grande, nominato così non tanto per le sue dimensioni, ma semplicemente perché l'Accademia lo volle dedicare a Napoleone. Tuttavia, «Teatro Il Grande» non durò molto, e per gli abitanti della città divenne presto «Il teatro grande», con un senso decisamente meno celebrativo.

Anche la diceria secondo cui il Teatro Grande rinunciò al nome «Scala» per lasciarlo al teatro milanese (con uno scambio repentino in occasione di una prima, con la Scala che avrebbe dovuto chiamarsi «Grande») è falsa, anche se lo scalone che dà su Corso Zanardelli - la via che ospita il Grande - è effettivamente affascinante e caratterizzante. Fino a poche settimane fa i segni della storia rimanevano peraltro visibili: prima del restauro i gradini portavano ancora i solchi lasciati dai cannoni trascinati dai francesi quando occuparono militarmente l'edificio sbrecciando - con malcelato spregio - la gradinata tanto famosa oggi tra i bresciani.

Tornando alla sala principale - casa della platea e del palco - è del 1810 e sorge sulle ceneri delle aule e dei luoghi dell'Accademia degli Erranti, ambiente di studio trasversale in cui ci si dedicava tanto all'etica quanto alla storia militare e all'equitazione. Dove oggi si trova il bancone del bar, per esempio, c'era la scuola di scherma, e la stessa Sala Grande era un cortile adibito a cavallerizza. Oggi presenta la tipica forma della sala del teatro all'italiana e segue il progetto dell'architetto Luigi Canonica.

A ferro di cavallo, è grande 22 metri per 17 e si sviluppa in altezza su cinque ordini di loggiati. Oggi la platea ospita circa 400 persone, mentre il resto del pubblico è diviso tra i palchi e le gallerie. Fino al loggione, detto anche piccionaia. Che nonostante il nomignolo ha diversi lati postivi: non è solo più economico (perché la vista viene effettivamente messa alla prova), ma acusticamente sopraffino. È proprio nel loggione che prendono posto i veri appassionati di acustica, che apprezzano il suono che si flette dalla platea al soffitto.

I palchetti sono come un condominio

La vista da uno dei palchetti del Grande - Foto New Reporter Umberto Favretto
La vista da uno dei palchetti del Grande - Foto New Reporter Umberto Favretto

Interessante è anche la situazione dei palchi, che in totale sono 108. Il Teatro Grande, infatti, mantiene una tradizione desueta per altri teatri, ovvero la presenza dei palchettisti privati (che di fatto sono una sorta di sponsor del teatro). Se nel resto dei teatri italiani quasi tutti i palchettisti sono una minoranza (nei secoli le spese erano diventate altissime e mano a mano le famiglie cedevano i palchi ai Comuni e agli stessi teatri), a Brescia la loro presenza è molto alta (si parla del 70% dei palchetti). 

Gran parte dei palchetti privati è quindi di proprietà dei palchettisti (e non della Fondazione del Teatro Grande, che gestisce invece l’organizzazione generale - la stagione, gli spazi, la platea e la galleria). Di fatto è la Società del Teatro Grande ad avere la proprietà dell’immobile e i palchettisti privati sono soci di questa società, che ha affidato la gestione del teatro all’omonima Fondazione attraverso un contratto di servizio.

I palchetti del Teatro Grande durante uno spettacolo - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
I palchetti del Teatro Grande durante uno spettacolo - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it

Alcuni palchi sono di proprietà del Comune di Brescia, altri di famiglie private, e chi possiede un palco paga sì la tassa di proprietà su di esso e l’assicurazione, ma in compenso ha sempre il diritto di prelazione sui biglietti per gli spettacoli. Se il biglietto non interessa, viene reso disponibile. La Fondazione gestisce quindi i palchi dopo che i palchettisti hanno risposto negativamente alla chiamata dei biglietti.

Oggi chi voglia possedere un palchetto non potrebbe contare su una vera e propria compravendita. I palchi vengono infatti ereditati e l’unica alternativa sono trattative privatissime con atti particolari attraverso cui si ottiene il diritto di superficie del palco, comprando automaticamente una quota della Società del Teatro Grande. C’è anche un comitato dei palchettisti, e esattamente come avviene per un condominio vengono svolte regolarmente riunioni d’aggiornamento.

Una veduta del Palco Reale in un allestimento del 2017 - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
Una veduta del Palco Reale in un allestimento del 2017 - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it

Discorso a parte va fatto per il palco reale, che si trova sul fondo della sala e che è doppio per altezza e profondità rispetto a tutti gli altri. È affittabile in alcune occasioni, ma molto più spesso ospita semplicemente la cabina di regia degli spettacoli, grazie alla sua posizione che permette una visibilità privilegiata.

A teatro tutta la giornata

In origine tutti i palchetti avevano un retropalco, che poteva essere arredato dagli stessi palchettisti privati e che, nei secoli passati, era lo spazio ideale per appuntamenti d'affari o incontri amorosi. In alcuni vi erano addirittura delle piccole cucine, in altri dei letti. Le fontane lungo le scale che portano alle gallerie non sono dunque messe lì a caso: il rischio di incendi era molto alto (era facile addormentarsi con la candela accesa o con la pentola sul fuoco) e l'acqua doveva essere sempre a portata di mano.

Non si tratta tuttavia di dettagli frivoli o fini a se stessi. Le vecchie planimetrie (con le piccole cucine di cui sopra o gli ingressi separati per chi stava nei palchetti o nelle gallerie, per evitare di mescolare i pubblici, ma anche gli spioncini posizionati qua e là per sbirciare gli altri avventori) parlano del teatro come di un luogo misterioso e malizioso. Se oggi si raggiunge il proprio posto cinque minuti prima dell'apertura del sipario, nell'Ottocento la consuetudine era recarsi a teatro per starci tutta la giornata, vivendolo come uno spazio di rappresentanza, oltre che come una piazza sociale. Non è un caso se la luce in sala era sempre accesa, anche durante le rappresentazioni: più che lo spettacolo sul palco, si guardavano le altre persone.

Il misterioso e antico lampadario

Anche per questo motivo, proprio al centro della sala svettava un grandioso lampadario, prezioso e maestoso, di cui oggi non v'è traccia: dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, e avendo il soffitto dato segni di cedimento, fu deciso di spostarlo per alleggerire la struttura.
La decisione però non scongiurò il crollo. Il cedimento del soffitto avvenne - fortunatamente di notte - negli anni Ottanta del Novecento. Gli affreschi del Magnani che lo decoravano vennero dunque persi per intero, ma grazie a foto d'epoca e a schemi d'archivio sono stati fedelmente riprodotti. Il lampadario non venne mai più ricollocato. Al suo posto resta un foro circolare con una grata di servizio.

La platea, il dislivello, l'altezza del palcoscenico

Vista dal palcoscenico, la sala grande - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
Vista dal palcoscenico, la sala grande - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it

Chi frequenta il Teatro Grande avrà certamente notato il leggero e tipico dislivello della platea verso la scena. Meno tipico è il dislivello della scena stessa: il palcoscenico presenta un 5% di pendenza, molto alta rispetto a quella di altri teatri. Il motivo può essere individuato nel periodo di fondazione del teatro: allora il centro della città si stava sviluppando, si era prossimi al progetto dei portici del 1822, e la sala risulta quindi più profonda proprio per le stratificazioni della città. Inoltre, i progettisti vollero rispettare la tradizione di visione: secondo i più rigidi, un buon palco deve dare la possibilità a tutti di «vedere le caviglie delle ballerine da ogni angolatura».

Notevole è anche l'altezza delle quinte del palcoscenico del Teatro Grande. Facendo parte del circuito dei teatri d'opera della Lombardia, il Grande è molto alto, ma il retro dell'edificio da cui entrano le scenografie non ricalca l'altezza della scena. Per questo nel 2022, quando arrivarono le scene della «Gioconda» disegnate sull'Arena di Verona, la Fondazione del Teatro Grande dovette chiedere un permesso speciale per chiudere Corso Zanardelli e fare entrare i fondali dal portone principale.

Per visualizzare meglio l'altezza: il ballatoio laterale per i tecnici si trova a 12 metri e la graticcia a 18 metri. Anche le scale accanto al palco hanno caratteristiche interessanti: quella di destra per esempio ha gradini più larghi del consueto perché anticamente, quando previsti, si facevano entrare in scena anche cavalli in carne e ossa.

La capienza

Il Teatro Grande è il secondo teatro in Lombardia per quanto riguarda l'affluenza. Nonostante vi siano teatri con capienza maggiore (come anche il teatro considerato gemello del Grande, il Ponchielli di Cremona), quello bresciano ha una frequentazione più assidua ed è quindi secondo solo alla Scala per numero di sbigliettamenti in stagione. Oltre a questo, il Grande è annoverato come uno dei grandi teatri di tradizione italiana e i posti considerati ad alta visibilità sono 970. A volte, tuttavia, può capitare che per aumentare leggermente la capienza vengano venduti alcuni posti a visibilità ridotta. 

A proposito di «ridotta». Il Ridotto del Teatro Grande è da considerarsi uno spazio per concerti a tutti gli effetti, e non solo un luogo di ingresso o passaggio, così come il Salone delle Scenografie (locale mansardato ligneo recentemente restaurato, in cui un tempo si adagiavano le scenografie per dipingerle) e la Sala Palcoscenico Borsoni (il palcoscenico stesso, adibito a tribuna e scena). Tutti e tre vengono sfruttati per spettacoli e concerti, con posti a sedere limitati alle rispettive capienze.

Il Ridotto

Capitolo speciale lo merita proprio il Ridotto (che il sabato e la domenica ospita da qualche tempo i tavoli della caffetteria), che si trova oggi nell'antica sala delle adunanze dell'Accademia degli Erranti, luogo di dibattiti (e talvolta di balli ed eventi sociali). Gli affreschi di fine Settecento sono qui ammirabili in tutto il loro splendore (anche grazie a un recentissimo restauro), insieme ad alcune aggiunte decorative più contemporanee.

Il soffitto affrescato del Ridotto del Teatro Grande - Foto Kevin Anselmini
Il soffitto affrescato del Ridotto del Teatro Grande - Foto Kevin Anselmini

Nel tempo il Ridotto - sia negli spazi al piano terra sia sulle balconate - ha subito diverse modificazioni (e le stratificazioni sono fascinosamente visibili anche nei botteghini lignei prima dell'ingresso, oggi smantellati ma ancora presenti). Per esempio, dove ora ci sono i dipinti che riproducono degli antichi arazzi un tempo erano dipinte delle specchiere, mentre girando lo sguardo è possibile scovare dei trompe-l'oeil con personaggi settecenteschi particolarmente significativi: una signorina che non si lascia corteggiare (come suggerisce il ventaglio chiuso), un mercante che assaggia la cioccolata appena arrivata in città, un servitore che lo guarda di sbieco, la balia che richiama l'attenzione del bambino, l'istitutore, le signorine che seguono un personaggio mascherato… Tutti richiami alla malizia e alla socialità del luogo, che era teatro di moltissime situazioni mondane già quando ospitava l'Accademia.

Alzando lo sguardo, si nota una balconata molto stretta. L'ultimo livello era dedicato all'orchestra, che si sistemava lì durante i balli in modo non essere vista.

Verde per il gioco, blu per la notte

Se il Ridotto del Teatro Grande dà l'idea di essere un ambiente storicamente «maschile», c'è un motivo. Il verde salvia ricorrente richiamava quello dei tavoli da gioco che punteggiavano lo spazio quando ancora era un'Accademia e si decise di mantenere quell'impressione.

Il colore dell'ingresso invece ha tutt'altra storia. Oggi, dopo i restauri, risulta luminoso e alto, ma fino a poco tempo fa era dipinto di un blu molto scuro. Quando l'Accademia divenne teatro, l'ingresso doveva dare l'illusione di trovarsi ancora all'esterno, fino all'arrivo nel Ridotto. I medaglioni ancora visibili sui fusti delle colonne, a questo proposito, lo dimostrano concretamente: si tratta di vecchi condotti per illuminazione a gas. Le luci erano sistemate lateralmente, senza lampadario centrale, proprio per dare l'idea di trovarsi otticamente fuori, sotto le stelle.
Nel tempo in questa saletta d'ingresso sono stati sistemati tre busti: quello di Giuseppe Verdi, il mecenate Gerolamo Rovetta e il pianista Arturo Benedetti Michelangeli.

La wunderkammer dedicata alla Butterfly

La protagonista della Madama Butterfly in scena nel 2015 a Brescia - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
La protagonista della Madama Butterfly in scena nel 2015 a Brescia - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it

Non tutti sanno che il Teatro Grande ha giocato un ruolo importantissimo nella storia della «Madama Butterfly», tanto che accanto al Ridotto trova spazio proprio la Saletta Butterfly, piccola wunderkammer di cimeli storici sull'opera pucciniana.

Quando Giacomo Puccini presentò la Butterfly alla Scala, l'opera fu un fiasco colossale. Quello stesso anno, 1904, si stava tuttavia tenendo una grande esposizione merceologica al Castello di Brescia. Essendo prevista una grande affluenza, il Teatro Grande contattò Puccini, gli chiese di rimaneggiare e snellire l'opera e di aggiungere il coro. Il secondo debutto avvenne a pochissimi mesi dal primo (nel maggio del 1904) e stavolta fu un successo senza precedenti. Anche per questo motivo melomani e affezionati del Grande amano dire che «la Butterfly imparò a volare qui». Da allora, l'opera rimase pressoché invariata.

Alle pareti si trovano quindi fotografie del cast originale e locandine, oltre a una curiosissima lettera che lo stesso Puccini inviò a una persona di sua conoscenza. Nel testo parla dell'opera e delle prove, informando l'interlocutore che «le coriste sono tutte dei mostri». Non è dato sapere se parlasse della loro bruttezza o della bravura.

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