Tagle e gli altri cardinali della Chiesa che guarda al Sud Globale

Il 21 aprile 2025, dopo dodici anni di pontificato che hanno profondamente segnato il volto della Chiesa cattolica, è scomparso Papa Francesco. Con la sua morte non è solo finita un’epoca, ma si è aperta una stagione cruciale, in cui la questione non riguarda solo chi sarà il prossimo pontefice, ma quale visione del mondo e della Chiesa guiderà il suo pontificato. In questo scenario, sembra prendere sempre più corpo una possibilità che un tempo sembrava remota: l’elezione di un Papa asiatico.
Papa Francesco ha incarnato, con parole e gesti, una svolta profonda. Ha ridimensionato il potere della Curia, ha dato voce alle periferie, ha posto al centro del suo magistero i migranti, l’ambiente e i poveri. Ma forse il suo lascito più duraturo è geopolitico: egli, infatti, ha contribuito a spostare il baricentro del cattolicesimo fuori dall’Europa, verso il Sud globale. Ed è proprio in Asia che si è giocata una parte decisiva di questa transizione. Durante il suo pontificato, Francesco ha visitato più volte l’Asia: Filippine, Corea del Sud, Giappone, Thailandia, Iraq, Kazakhstan, Mongolia. Ha incontrato minoranze cristiane coraggiose, ma anche leader musulmani, induisti, buddhisti. Ha promosso il dialogo interreligioso non come diplomazia, ma come missione. In un continente in cui i cattolici sono una minoranza, ma dinamica e in crescita, egli ha intravisto un laboratorio per la Chiesa del futuro.
Tra i nodi più delicati della presenza cattolica in Asia c’è stato, per Francesco, il rapporto con la Cina. È sotto il suo pontificato che è stato siglato, nel 2018, uno storico accordo provvisorio tra la Santa Sede e Pechino sulla nomina dei vescovi: un’intesa controversa, rinnovata più volte, che ha suscitato critiche sia all’interno della Chiesa sia al di fuori di essa. Francesco ha sempre difeso l’accordo come un passo necessario per garantire un minimo di unità alla Chiesa cinese, divisa tra lealisti patriottici e fedeli alla Santa Sede. Anche se i frutti sono stati modesti, questo sforzo diplomatico testimonia una visione lungimirante: la Cina non è solo una potenza politica, ma una realtà religiosa con cui la Chiesa non può permettersi di non dialogare. Il sogno di una Chiesa in dialogo con il gigante asiatico rimane un’eredità aperta del suo pontificato.
Non è un caso se in Asia Francesco ha trovato terreno fertile per la sua idea di una Chiesa «in uscita», vicina ai poveri, attenta alle culture locali. In Mongolia, ad esempio, ha celebrato una messa per meno di 2.000 cattolici, ma ha parlato al mondo. In Iraq, ha visitato Mosul, simbolo della distruzione e della speranza. In Corea del Sud, ha incontrato giovani di tutto il continente. L’Asia, per Francesco, non era periferia ma orizzonte. Ma oltre alle parole, Francesco ha agito anche nei numeri. Al momento della sua morte, il Collegio cardinalizio conta più cardinali provenienti dal Sud globale che dall’Europa, un’inversione storica frutto delle sue nomine. In particolare, l’Asia è oggi rappresentata da figure di primo piano e da una varietà ecclesiale inedita.

Tra i nomi che circolano con maggiore insistenza in qualità di successori di Francesco c’è quello del cardinale Luis Antonio Tagle, filippino, già arcivescovo di Manila e oggi pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione. Teologo raffinato e comunicatore carismatico, Tagle è considerato da molti l’erede naturale della visione di Francesco. Come Bergoglio, anche lui è animato da una spiritualità profondamente pastorale e da una fede che si nutre di misericordia e prossimità. La sua figura incarna una Chiesa umile, dialogante, popolare, capace di parlare ai poveri ma anche di confrontarsi con le sfide globali della modernità. Dotato di una sensibilità interculturale rara, Tagle ha radici sino-malesi e una formazione internazionale che lo rende credibile sia in Occidente sia in Asia.
È membro della Caritas Internationalis, è stato molto attivo nei Sinodi voluti da Francesco e ha mostrato particolare attenzione ai temi della giustizia sociale, della dignità dei migranti, della famiglia e della pace. La sua capacità di toccare il cuore delle persone, unita a una solida preparazione dottrinale, lo ha reso uno dei cardinali più amati nel mondo cattolico. Per molti, è il volto di una Chiesa capace di tenere insieme dottrina e tenerezza, tradizione e apertura, senza scivolare né nel rigore né nel populismo spirituale. Tuttavia, la sua vicinanza al pontificato di Francesco potrebbe essere anche un limite, almeno per quei settori del Collegio cardinalizio che auspicano un «ritorno all’ordine» dopo anni di fermenti e riforme.
Il cardinale Gugerotti, già prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, nella Messa in suffragio di #PapaFrancesco: accogliamo i fratelli orientali cattolici che lasciano le loro terre e la Terra Santa#VaticanNewsIT
— Vatican News (@vaticannews_it) May 2, 2025
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Per altri, invece, proprio la sua figura rappresenterebbe una continuità rassicurante, in grado di consolidare quanto iniziato da Francesco senza provocare nuove fratture. Accanto a lui, altri cardinali asiatici hanno acquisito visibilità e autorevolezza. Il birmano Charles Maung Bo, voce coraggiosa in un paese segnato dalla repressione militare; l’indiano Oswald Gracias, figura influente anche a livello sinodale; il pakistano Joseph Coutts, simbolo di una Chiesa che resiste sotto pressione. L’Asia, insomma, è ormai presente non solo come destinataria dell’evangelizzazione, ma come fonte di leadership ecclesiale. Naturalmente, l’elezione di un Papa asiatico non è affatto scontata.
Le logiche del Conclave sono complesse, e ancora oggi il cuore del potere vaticano resta saldamente europeo, con forti resistenze a un Papato troppo lontano dalla tradizione romana. Inoltre, la stessa Asia cattolica è eterogenea: ci sono paesi a maggioranza cattolica come le Filippine, ma anche realtà dove i cristiani sono minoranze perseguitate o tollerate. Eppure, proprio questa diversità potrebbe essere la carta vincente. Un Papa asiatico rappresenterebbe una svolta coerente con la globalizzazione ecclesiale. Porterebbe nel cuore della Chiesa sensibilità postcoloniali, culture del dialogo, spiritualità meno segnate dall’occidente. Potrebbe rafforzare il legame con l’Africa e l’America Latina, in nome di un «Sud globale» che ormai rappresenta la maggioranza del mondo cattolico.
Con il Conclave, i cardinali dovranno scegliere non solo un uomo, ma una visione. L’eredità di Francesco è chiara: una Chiesa povera per i poveri, aperta al mondo, decentrata. Non sarà facile portarla avanti, ma un pontefice asiatico potrebbe essere la chiave per farlo. In questo quadro, il tema della Cina potrebbe assumere un peso inedito. La strategia silenziosa e paziente adottata da Francesco potrebbe ora essere ripresa, corretta o abbandonata dal suo successore. Un pontefice asiatico – magari proveniente da un contesto geopolitico vicino, come le Filippine – potrebbe avere la sensibilità necessaria per riaprire un canale più efficace con Pechino, evitando lo scontro ma senza cedere alla logica del controllo ideologico. La questione cinese, insomma, sarà uno degli specchi in cui si rifletterà la linea futura del Papato. Non sappiamo chi sarà il prossimo Papa. Ma se sarà asiatico, non sarà solo una novità storica, ma il segno di un mondo cattolico che guarda davvero a Oriente.
Antonio Fiori – Docente di Storia e Istituzioni dell'Asia, Università di Bologna
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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