Strage, le vittime: «La sentenza conferma: la verità c’era già nel ’74»
Soddisfatto? Non proprio. Quando esce dall’aula Manlio Milani è inseguito da un’ombra cupa di amarezza. La condanna di Toffaloni è pesante, tanto quanto lo è la certezza che la verità sulla strage di piazza Loggia poteva essere consegnata alle vittime e alla città subito, non mezzo secolo dopo.
Manlio Milani
«Questa condanna – dice a caldo il presidente dell’associazione dei famigliari delle vittime – certifica che tutti sapevano tre giorni dopo. E aspettare 50 anni davvero mi sconvolge. Mi riempie di domande. Mi lascia attonito. Perché si sapeva e non si è cercato di impedire gli attentati che sono venuti dopo e che hanno seminato morte per l’Italia».
A sconvolgere Milani è un’altra conferma offerta dalla sentenza. «Abbiamo la riprova che i depistaggi di allora erano un dovere assoluto. Ricorderò per sempre la testimonianza del generale del Sid Adelio Maletti quando disse a processo che si sapeva che il 28 maggio a Brescia doveva accadere qualcosa. Quel qualcosa è accaduto, ma le persone hanno continuato a tacere. La strage poteva essere impedita. I responsabili potevano essere individuati subito. Oggi, nonostante la condanna, non riesco a non provare rabbia per questo». E rabbia Manlio Milani la prova anche per l’assenza di Marco Toffaloni. «È davvero vergognoso che non si sia presentato – conclude il presidente di Casa della Memoria - poteva venire, assumersi almeno la responsabilità di farsi vedere. Poi poteva non rispondere, ma 50 anni dopo avrebbe dato un segnale di rispetto».
Arnaldo Trebeschi
Arnaldo Trebeschi vuole leggere le motivazioni, ma già da pochi minuti dopo la lettura del verdetto è convinto di essere al cospetto di un altro tassello di verità.
«Sono passati 50 anni per averlo. Ma questo è un altro passaggio decisivo dopo le sentenze della corte d’assise d’appello di Brescia e quella della Corte d’assise d’appello di Milano che di fatto hanno ribaltato la storia processuale e aperto la strada alle condanne definitive dei mandanti». La sentenza potrebbe aver dato credito alla perizia antropometrica sulla foto che ritrarrebbe Marco Toffaloni in piazza Loggia, poco dopo lo scoppio, proprio alle sue spalle, mentre era chino sul corpo del fratello Alberto.

«Per me era in piazza. Era presente. Come me. C’ero lì anche io» sottolinea Arnaldo Trebeschi con le lacrime in precario equilibrio sulle palpebre.
Cgil
La sentenza, per il segretario provinciale della Cgil Francesco Bertoli, si deve anche alla tenacia delle vittime: «Una volontà ostinata da parte dei familiari, delle istituzioni e delle organizzazioni sindacali che non hanno mai smesso di cercare e chiedere verità. Di una città che ricorda e lo testimonia ogni 28 maggio in piazza Loggia».
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