Strage di Erba, le motivazioni del no alla riapertura del processo

Per la corte di Cassazione le prove contro Olindo e Rosa Bazzi sono «solide», così come «minuziosi» sono i riscontri
Rosa e Olindo in aula
Rosa e Olindo in aula
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Le prove contro Olindo e Rosa Bazzi sono «solide», così come «minuziosi» sono i riscontri. A distanza di poco meno di due mesi dalla decisione, la corte di Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza che ha respinto la richiesta con la quale i legali della coppia condannata all'ergastolo chiedeva di riaprire il processo per la strage di Erba, avvenuta nel dicembre del 2006.

Il raffronto rispetto ai nuovi elementi proposti, scrivono i giudici, «è costituita da un tessuto logico-giuridico di notevole solidità non solo per la forza espressa da ognuna delle principali prove acquisite in ragione della loro autonoma consistenza ma anche per la presenza di innumerevoli e minuziosissimi elementi di riscontro».

Le prove

La Cassazione elenca, quindi, le prove acquisite durante le indagini: la «confessione dei due imputati, ancorché ritrattata; l'ammissione di colpa riportata in appunti manoscritti e in scritti diretti a terzi; la deposizione dibattimentale dell'unico testimone oculare, Mario Frigerio, l'unico sopravvissuto; la presenza di traccia ematica sull'auto di Romano riconducibile a Valeria Cherubini», la vicina di casa che assieme a Raffaella Castagna, suo figlio di due anni Youssef Marzouk e la madre Paola Galli, è stata uccisa da Rosa e Olindo.

La decisione

Al vaglio dei Supremi giudici si è arrivati dopo la decisione della corte d'Appello di Brescia che nel luglio scorso si era espressa per l'inammissibilità dell'istanza di revisione della sentenza con cui è passata in giudicato la condanna ai coniugi. Nelle motivazioni i giudici scrivono che «i consulenti dei condannati muovono dal dato che Mario Frigerio non abbia riconosciuto, all'inizio, Olindo Romano e sostengono che, in base alle più recenti conquiste delle neuroscienze, non sia possibile passare da un volto ignoto al successivo riconoscimento di un volto noto». In «realtà la sentenza definitiva di condanna ha appurato che Frigerio – proseguono gli ermellini –aveva riconosciuto immediatamente e senza ombra di dubbio Olindo Romano mentre usciva da casa Castagna e proprio per questo gli si era avvicinato con fiducia».

E ancora: «Come Frigerio stesso ebbe modo di spiegare in dibattimento, non intese dirlo subito agli inquirenti, ai figli e agli altri che lo sollecitavano, perché voleva capire: non si capacitava dell'accaduto e la sua mente rifiutava che un vicino di casa potesse aver aggredito con una simile brutalità lui e la moglie».

La richiesta

Secondo quanto si legge nell'atto di 53 pagine «la richiesta di revisione adduce una serie di elementi dai quali» desumere «che in realtà l'11 dicembre 2006, giorno della strage, vi erano altre persone ad attendere le vittime all'interno dell'appartamento e ciò nell'intento di dimostrare la falsità delle confessioni e di rendere plausibile una ipotesi alternativa».

Olindo e Rosa in due vecchie foto
Olindo e Rosa in due vecchie foto

Per la Cassazione, però «non si ravvisa alcun vizio argomentativo nella valutazione della Corte di appello di Brescia che ha ritenuto questi elementi del tutto irrilevanti: le dichiarazioni e le interviste televisive provengono da soggetti già sentiti e presentano indicazioni generiche e inconcludenti, quando non anche frutto di mere illazioni o convinzioni soggettive, peraltro smentite da dati di fatto di segno contrario, la relazione tecnica sui consumi di energia non offre elementi significativi». 

Per i giudici è «manifestamente infondata la doglianza, ripetutamente evocata dai ricorrenti, circa l'assenza di una valutazione sinergica dei nuovi elementi di prova, da leggersi non in modo atomistico ma nelle reciproche interessenze». Insomma, conclude la Cassazione, «molti dei nuovi elementi proposti sono del tutto sforniti di idoneità dimostrativa, sì da rendere superflua una comparazione». 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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