Savelli della Poliambulanza: «Il futuro passa dalla medicina nucleare»

«Sono più intelligenti, ma forse noi alla loro età avevamo più fantasia, più fame. Loro sono razionali. E in più hanno fretta». Giordano Savelli, direttore dell’Unità operativa di Medicina nucleare della Poliambulanza, interpreta come un controsenso il fatto che i giovani medici di oggi non siano interessati alla branca che lui scelse dopo che il suo mentore, il dottor Emilio Bombardieri, gli disse: «Punta alla Medicina nucleare, è un altro modo di fare tutto». «Aveva ragione – commenta col senno di poi –: non esiste altra specialità in cui si fa diagnosi e terapia con lo stesso farmaco. Una specialità, la nostra, che è una miniera: ha potenzialità incredibili».
Nel dettaglio la Medicina nucleare «sfrutta meccanismi fisiologici e parafisiologici per evidenziare il funzionamento del corpo umano». In parole semplici «scocca tante frecce verso diversi bersagli. In ambito oncologico – spiega – ci aiuta a vedere se ci sono cellule che consumano tanto zucchero (tumori). Ci fa capire come funzionano le cellule del cuore e, di conseguenza, se vale la pena o meno aprire una coronaria. Ci dà informazioni sulla malattia di Alzheimer intercettando la presenza di determinate sostanze nel cervello. Ed è utile anche per diagnosticare la malattia di Parkinson».
Prospettive
Fondamentali, in tutto questo, sono i radiofarmaci che, nel caso della Poliambulanza, vengono preparati nel Laboratorio di Radiofarmacia situato nel piano interrato. «Sono prodotti personalizzati sulla base di peso e patologia – spiega –. Vengono creati in sicurezza e con garanzia di tracciabilità per dieci anni. Si somministrano per via endovenosa». Nell’ospedale di via Bissolati vengono utilizzati perlopiù a fini diagnostici: un’ora dopo l’iniezione, il paziente viene inserito in una grande apparecchiatura denominata tomografo che, sotto lo sguardo attento di tecnici specializzati, restituisce immagini dettagliate in sezione di vari organi (Pet) che, colorandosi in corrispondenza del liquido iniettato, forniscono al medico informazioni preziose. Il passo successivo, previsto dopo l’estate, sarà l’ampliamento del reparto in ottica terapeutica.
A cambiare sarà la prospettiva: «Per fare diagnosi – spiega il dottor Savelli – produciamo radiofarmaci con l’obiettivo di vedere in quali punti del corpo si localizzano e generare il minor danno possibile. Ai fini terapeutici si fa, invece, il contrario: l’intento perseguito è attaccare il più possibile il tumore. Il principio viene applicato nei confronti di tumori alla prostata o all’intestino. E in un futuro non troppo lontano potrebbe essere esteso ai tumori alla mammella e al polmone. Ovviamente con la collaborazione degli altri specialisti». Il domani, insomma, offre prospettive interessanti. La speranza è che ci saranno giovani medici disposti a coglierle.
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