Pace e solidarietà, la voce dei detenuti di Verziano

Pace è «umiltà», «ascolto», «aver accettato i miei errori». Pace è «dire ho sbagliato, scusa». «L’abbraccio di mia madre è la pace». Pensieri semplici, affidati a un cartellone affisso nella palestra di Verziano, esprimono con forza il significato che le detenute e i detenuti attribuiscono a questo concetto quanto mai attuale.
«Non ho fatto pace con me stessa e guarda dove sono», scrive una donna su un foglio in cui spicca l’immagine di un carcere. L’occasione per leggere queste riflessioni è la «colazione solidale» organizzata l’altro ieri nella casa di reclusione di via Flero con l’aiuto di realtà come Carcere e Territorio, Volca, cooperativa sociale Bessimo, Casello 11, Nitor sociale e Alborea.
Un’iniziativa che riporta in voga una tradizione interrotta dalla pandemia. E consente a chi è dietro le sbarre di raccogliere fondi per aiutare Save The Children a sostenere i bambini di Gaza e sentirsi parte di una comunità non giudicante facendo due chiacchiere davanti a un caffè.
In un’atmosfera, per quanto possibile, informale i pensieri colorano i muri, ma trovano anche voce. Una detenuta osserva che «non abbiamo il potere di fermare la guerra, ma possiamo evitare di farcela tra di noi». Perché, come fa notare la direttrice Francesca Paola Lucrezi, «ogni azione violenta è un’azione contro la pace».
Una detenuta si inserisce nel discorso facendo emergere l’importanza del dialogo, dell’apertura, dell’ascolto. Tentativi di «cogliere la personalità» di chi ci sta davanti, anziché avere «la presunzione di giudicare dalla copertina. Il rispetto dell’altro è indispensabile. La pace richiede l’umiltà che si è persa. La pace è civiltà, la guerra è barbarie». Mille sfumature di uno stesso concetto affidate anche ai segnalibri che le detenute donano agli ospiti. E ai fiori di cartapesta che rallegrano la palestra in cui la colazione si svolge.
Tanti gli esterni che per due ore ascoltano, assaggiano brioche e pizzette, bevono succo di frutta, scambiano riflessioni, parlano di una quotidianità divisa da un muro. Un detenuto racconta che in carcere è riuscito a diplomarsi e ora è a un passo dalla laurea. Trascorre le giornate studiando, pensando alle sue montagne e fantasticando su cosa farà una volta superato il cancello grigio. Per ricordare che Brescia è per la pace prende la parola il presidente del Consiglio comunale Roberto Rossini. Il fatto che questo tema venga affrontato proprio in carcere agli occhi dei presenti non figura come una contraddizione. Perché, come riflette la nuova garante dei detenuti del Comune di Brescia Arianna Carminati, «la pace non è l’assenza di scontro, ma l’idea che tutti abbiano una possibilità».
La «colazione solidale» diventa così un’opportunità di apertura verso chi ha intrapreso un percorso di cambiamento. Con la consapevolezza che la parola pace significhi anche «inclusione, mancanza di discriminazione», viene detto. Ai presenti i detenuti donano bulbi di tulipano a patto che li facciano sbocciare, se ne prendano cura e li riportino laddove il messaggio di pace è partito. Ossia dietro le sbarre di un carcere. Sintetizzano bene l’importanza che questo pensiero venga diffuso le parole di un’altra detenuta: «La Terra - dice - è povera d’acqua e d’amore. Mettiamo in tasca i semi e lasciamoli cadere».
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