Omicidio Cologne, dopo la condanna a 27 anni Mossali andrà in appello

Manca solo la data. Ma il «secondo tempo» del processo per omicidio volontario e distruzione di cadavere a carico di Cristiano Mossali, meccanico di 53 anni di Palazzolo accusato di aver ucciso il 40enne kosovaro Nexhat Rama per un debito da 30mila euro che non riusciva a saldare. In primo grado la Corte di Assise, presidente Luca Tringali, ha comminato una condanna a 27 anni, riconoscendo l’aggravante della premeditazione.
Gli avvocati Stefano Forzani e Tomaso Spandrio, che assistono il meccanico di Palazzolo, hanno presentato un ricorso di 130 pagine in cui elencano nel dettaglio i motivi per cui chiedono un processo di Appello. Lo stesso ha fatto la Procura della Repubblica che evidentemente non ritiene sufficiente la condanna emessa dal Tribunale. La Corte d’Appello ha ammesso il ricorso e ora le parti sono in attesa della fissazione della data in cui si rivedranno in aula.
La difesa
Nel lungo ricorso presentato gli avvocati Forzani e Spandrio scrivono che chiedono di annullare la sentenza perché il Tribunale non ha «ritenuto che siano emersi, in corso di istruttoria dibattimentale, elementi sufficienti ad integrare la sussistenza del ragionevole dubbio sulla responsabilità del ricorrente con riferimento alla possibile esistenza di responsabilità esclusive altrui nel fatto omicidiario, nel successivo evento incendiario e di distruzione del cadavere e di riflesso nella detenzione dell’arma».
Ipotesi alternativa
Il riferimento è alla pista alternativa che è stata proposta durante il processo di primo grado: secondo la difesa infatti altre persone, nello specifico un imprenditore franciacortino e uno bergamasco, avevano un movente decisamente valido per uccidere il 40enne kosovaro.
I due avevano avuto pesanti contrasti con la vittima tanto da arrivare prima «a pagargli 5mila euro al mese per tenerselo buono» e poi a contattare un gruppo di kosovari per «dirgli di fermarsi» dato che lui poco prima aveva chiarito: «Al prossimo incontro dovrai portarti il ferro (la pistola, ndr)». Non solo. Secondo la difesa, che si basa sulla testimonianza di un carabinieri, nel 2019 Nexhat aveva incendiato la villa di un imprenditore a Salò senza che venissero mai individuati i mandanti.
La difesa poi ha chiesto il processo d’Appello anche perché ritiene che non sia provata la premeditazione dell’omicidio e per questo che debba essere rideterminata la pena: secondo gli avvocati ci sono state omissioni o erronea valutazioni per quello che riguarda l’esame dell’imputato, le deposizioni dei testi e dei periti e anche le acquisizioni di prova. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado, la Corte scriveva: «Cristiano Davide Mossali è inequivocabilmente ed autonomamente responsabile dell’omicidio» e ne elencava i motivi.
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