Omicidio Bozzoli, perché secondo i giudici d'appello «Giacomo ha ucciso lo zio»

Nelle motivazioni della conferma della condanna all’ergastolo per l’omicidio di Marcheno scrivono che «tutti i percorsi probatori portano al nipote». C'entrano anche i ruoli di Ghirardini e Maggi
Mario Bozzoli al lavoro nei pressi del forno della fonderia - © www.giornaledibrescia.it
Mario Bozzoli al lavoro nei pressi del forno della fonderia - © www.giornaledibrescia.it
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C’è anche un punto esclamativo nelle 154 pagine di motivazioni della conferma in appello della condanna all’ergastolo di Giacomo Bozzoli. «L’omicidio di Mario Bozzoli è stato commesso in un ristretto ambito spaziale e temporale in cui gravitano, oltre all’imputato, Ghirardini e Maggi. È questo il dato probatorio che domina sovrano nel processo!» scrivono i giudici ricostruendo il giallo dell’imprenditore di Marcheno, svanito nel nulla l’8 ottobre 2015. Così come spiegato anche in primo grado, non ci sarebbero alternative alla sua morte violenta.

Cosa dicono le motivazioni

Non è stato un rapimento e nemmeno una fuga volontaria passando dal cancellino sul retro della fonderia, come ipotizzato dalla difesa. «L’omicidio avvenuto all’interno dello stabilimento rappresenta l’esito veramente obbligato di una valutazione logica, saldamente ancorata al materiale probatorio acquisito. Un’ipotesi alternativa – si legge – è estranea all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana, finendo per apparire addirittura risibile».

Il forno dell’allora fonderia di via Gitti resta dunque al centro del caso. «Proprio nell’orario della sparizione dell’imprenditore vi è stata la cosiddetta fumata anomala e tale fumata era provenuta proprio dal forno grande» ricorda la sentenza d’appello che conferma le responsabilità di Giacomo Bozzoli, «alla sua responsabilità penale convergono sempre tutti i diversi itinerari probatori che si intendono percorrere», ma anche di Giuseppe Ghirardini, l’addetto al forno. «Il nipote era presente in orario prossimo alla fumata anomala nella zona forni, sicché egli è fortemente indiziato di aver aiutato Ghirardini nella soppressione fisica di Mario Bozzoli».

Il movente

Soldi e rapporti familiari logori sarebbero alla base dell’omicidio di Marcheno. «Non si può certo sorvolare sulla stabile e radicata convinzione che l’imputato mostrava di voler fisicamente eliminare lo zio, quale ostacolo frappostosi ai suoi progetti imprenditoriali. Convinzione che, unito ad un rancore evolutosi in un vero e proprio sentimento vendicativo, esprime – concludono i giudici – il movente dei reati commessi da Giacomo Bozzoli». 

Il ruolo di Ghirardini

È l’unico che non ha mai potuto difendersi. Perché trovato senza vita nei boschi di Case di Viso, in Vallecamonica sei giorni dopo la scomparsa di Mario Bozzoli. «Suicidatosi» per gli inquirenti. «Ammazzato da chi voleva tappargli la bocca» per i parenti.

Giuseppe Ghirardini, l’operaio che la sera dell’8 ottobre 2015 era il responsabile del forno più grande della fonderia di Marcheno, «ha avuto un ruolo fondamentale nell’omicidio di Mario Bozzoli, quantomeno nella distruzione del corpo dell’imprenditore» scrive la Corte d’Assise d’appello nelle motivazioni della condanna all’ergastolo a Giacomo Bozzoli. «È decisamente da sottolineare – si legge – il turbamento sempre più crescente che sintomaticamente ebbe a manifestare Ghirardini in coincidenza con la sparizione di Mario Bozzoli. Turbamento che nella sua evoluzione lo condusse al suicidio e il motivo del gesto non può che essere stato quello di non sopportare più il rimorso per quanto commesso o concorso a commettere». Ma per i giudici non è immaginabile che Ghirardini «abbia compiuto la distruzione del corpo dell’imprenditore senza alcuna istigazione da parte di terzi anche perché è emerso che tra i due non c’erano motivi di contrasto».

E la ricostruzione della Corte d’assise d’appello di Brescia porta a quei 4.400 euro in contanti trovati in un cassetto della camera da letto di Ghirardini. Otto banconote da 500 euro e altrettante da 50. Una mazzetta in serie emessa dalla Banca Centrale austriaca, ritenuta «il probabile acconto di un più elevato compenso che, magari, sarebbe stato poi corrisposto all’operaio per commettere materialmente l’omicidio». E la Corte si chiede: «Chi avrebbe potuto aver interesse a consegnare una tale somma a Ghirardini poco prima che Mario Bozzoli scomparisse per sempre?». La risposta la forniscono gli stessi giudici: «L’operaio ha agito su incarico di una terza persona che è appartenente alla famiglia di Adelio Bozzoli, vale a dire Giacomo. Che aveva rapporti con l’Austria, da dove proviene il denaro trovato dopo la morte a casa di Ghirardini e perché l’unico che «unitamente al movente economico riconducibile agli interessi societari familiari e imprenditoriali – si legge nelle motivazioni – avrebbe potuto nutrire un motivo personale per sopprimere Mario Bozzoli».

Il dialogo tra Maggi e Abu

Il dialogo intercettato tra i due operai Oscar Maggi e Abu è ormai storia del giallo di Marcheno. Quel «se Beppe (Ghirardini, ndr) racconta qualcosa di sbagliato siamo nei casini, siamo rovinati» che Maggi, oggi indagato per concorso in omicidio nell’inchiesta bis, dice al collega uscendo dalla caserma dei carabinieri dopo un primo interrogatorio, anche per i giudici di secondo grado è la prova che i due sapevano come erano andati i fatti in fonderia l’otto ottobre 2015.

«Manifestarono la loro particolare apprensione per come "Beppe" si sarebbe comportato con i carabinieri. E la loro apprensione tradisce il coinvolgimento di Ghirardini e di essi stessi nella scomparsa di Mario Bozzoli» scrivono i giudici d’appello. Che poi aggiungono: «Se essi fossero estranei o comunque ignari, dei fatti, non si comprende davvero perché avrebbero dovuto necessariamente concordare le dichiarazioni e perché proprio con Ghirardini. La loro ansia traspare perentoriamente allorquando mostrano di temere che Ghirardini dica, non già semplicemente qualcosa di diverso, ma "qualcosa di sbagliato"».

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