‘Ndrangheta a Brescia: «Armata, autonoma e con potere di intimidazione»

AGGIORNAMENTO: il Tribunale di Brescia in data 6 marzo 2025 ha provveduto alla revoca delle misure cautelari e conseguentemente alla scarcerazione di Giang Vu Hung e di Giuseppe Zeli, e restituito agli indagati quanto era stato sequestrato nel corso del procedimento.
Prenderanno il via in queste ore gli interrogatori di garanzia per le 12 persone, tra cui due bresciane, arrestate giovedì mattina dalla Guardia di Finanza nell’ambito di una maxi inchiesta sugli stessi rapporto tra ‘ndrangheta e imprenditoria e che ha portato alla luce un giro di fatture false per 365 milioni di euro realizzate grazie all’esistenza di oltre 70 società cartiere controllate dalle cosche reggine e che ha fruttato alla famiglia legata al clan Condello oltre 8,5 milioni di euro. Denaro che è stato reinvestito anche in città, in particolare con l’acquisto, attraverso un prestanome, della maggior parte delle quote del ristorante, al 14esimo piano di una delle torri di via Flero, Reverso Tower.
Gli arrestati cui viene contestato l’articolo 416/bis, dieci su dodici, sono detenuti nei carceri di massima sicurezza di tutto il nord del Paese, da Parma ad Asti, e saranno sentiti in regime di rogatoria.
Le carte
Nel frattempo, esaminando nel dettaglio le oltre 350 pagine di ordinanza firmate dal Gip di Brescia Alessandro D’Altilia, si emerge il fatto che il gruppo diventato egemone nella gestione delle fatture false per conto delle cosche calabresi nella nostra provincia è stato costituito da due reggini, Domenico e Giovanni Cambareri, che hanno poi coinvolto gli altri soggetti. Nello specifico sarebbero stati i promotori di una «associazione criminale armata di stampo mafioso con carattere di transazionalità operante innanzitutto a Brescia» caratterizzata «da autonomia programmatica, operativa e decisionale rispetto ad altre cosche ndranghetiste di Reggio Calabria alle quali risulta legata da rapporti federativi o di alleanze». Il riferimento è alla cosca Condello-Imerti-Buda che rientra nella locale di San Roberto e «la cui mafiosità è stata acclarata da sentenze oggi definitive».
Domenico Cambareri faceva già parte, insieme a Giuseppe Zeli (a cui non viene contestata l’associazione di stampo mafioso), della prima associazione, legata invece alla cosca Piromalli, che gestiva le fatture false. Ne sarebbe prima fuoriuscito e poi avrebbe dato vita alla serie di operazioni, prima una rapina simulata e poi una serie di intimidazioni con le armi, per entrare in possesso delle credenziali delle società cartiere e di tutto il pacchetto clienti di imprenditori che usufruivano delle fatture false.
Proprio in questa fase si assiste ad una vera guerra di ‘ndrangheta che solo grazie alla mediazione di Sebastiano Utano, intervenuto dalla Calabria e pagato 80mila euro, non arriva alla guerra armata.
La situazione però ha rischiato di degenerare. In una conversazione intercettata infatti i fratellie Cambareri non usano mezzi termini: «Tu dimmi se ci dobbiamo ammazzare per capirci, se ci dobbiamo ammazzare cugini buoni». E in una successiva conversazione il riferimento ad un faccia a faccia avvenuto in Calbria: «Cosa ti ha detto mio fratello? Che tu non fai più niente con loro». Sul fronte opposto invece le frasi erano «Ho deciso che è guerra, inutile che lasci feriti».
Ancora attivi
Ma non era finita qui. Nel passaggio in cui il giudice spiega la necessità di applicare delle misure cautelari che blocchino l’attività della cosca emerge una situazione preoccupante e che colloca questa inchiesta nella più stretta attualità. Nel novembre del 2024 infatti gli inquirenti hanno accertato che anche in periodi più recenti, una delle società utilizzate per emettere e annotare fatture false aveva ricevuto, sulla base di documentazione contabile e aziendale evidentemente contraffatta, un maxi finanziamento da Banca Progetto di cinque milioni di euro che poi venivano trasferiti ad una società di diritto spagnolo riconducibile ad un altro degli arrestati, Giovanni Cutrì .
Banca Progetto è stata già coinvolta in una inchiesta della Dda di Milano per aver erogato finanziamenti garantiti dallo Stato a favore di aziende legate alla ndrangheta e, anche in un’altra inchiesta della Procura di Brescia erano emersi finanziamenti concessi a società senza che fossero adeguatamente verificate le documentazioni prodotte.
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