Sos dei medici di base: «In pochi, bistrattati e pieni di burocrazia»

«Siamo rimasti in pochi, io ho 1.600 assistiti che ne valgono duemila e non sono Amazon Prime». È lo sfogo di un medico di famiglia bresciano che rende bene l’idea di quanto la categoria sia in affanno a causa della carenza di nuove leve, del sovraccarico di lavoro e burocrazia e del fatto che i pazienti – in certi casi alle prese con disservizi – siano più esigenti e meno tolleranti.
L’arrabbiatura diffusa
Angelo Rossi, in servizio a Leno, parla di «arrabbiatura diffusa». La Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) di cui è presidente provinciale è in stato di agitazione e si è detta pronta a dichiarare lo sciopero in assenza di risposte concrete a due questioni: «L’attenzione nei confronti delle nostre esigenze e la ripresa delle trattative per il rinnovo dell’accordo collettivo nazionale».
I numeri
I numeri, in questo caso, valgono più delle parole. Nel Bresciano, dove i medici di base sono oltre 700, con il bando di maggio sono stati coperti 10 dei 164 ambiti vacanti. Un altro bando è stato pubblicato a giugno: in tutta la Lombardia sono arrivate solo 399 domande per 1.349 posti (dei quali 155 scoperti nella nostra provincia).
E in Valcamonica, per esempio, si è riusciti a coprire 4 ambiti su 15. A ciò si aggiunge che al recente test (con valenza regionale) per accedere al triennio di formazione in Medicina generale che si è svolto ad Assago si sono presentati in 280 per 566 borse.
Professione senza appeal
È chiaro, insomma, che la professione ha perso appeal. Lo sottolinea anche Giovanni Gozio, medico di famiglia a Rezzato, consigliere dell’Ordine di Brescia e vicepresidente provinciale dello Snami: «Il nostro ruolo non è valorizzato, la remunerazione economica non giustifica l’impegno, in più la gestione autonoma ed elastica che è sempre stata un punto di forza del nostro lavoro si sta irrigidendo. In futuro ci verrà chiesto di svolgere alcune ore nelle Casa di comunità. E, con la prospettiva del "ruolo unico", i medici di medicina generale si occuperanno anche di quella che oggi è la continuità assistenziale. Tutti questi fattori possono spaventare i giovani».
Di «carico di lavoro che opprime la professione» parla Federica Zanotti, medico di base a Castelmella: «Ci viene chiesto sempre di più dal punto di vista burocratico con il rischio che si vada in burnout. Facciamo davvero tantissimo: se non ci fossimo noi ad andare a fare l’antinfluenzale a domicilio il servizio verrebbe meno».
Seppur i medici di base siano il perno della Sanità territoriale «il nostro ruolo non è considerato prestigioso come lo era una volta», osserva Angelo Braga, medico di base a Villanuova iscritto all’Umi: «Con tutte le incombenze che abbiamo non riusciamo più a fare medicina d’iniziativa. In più andremo a fare i burocrati nelle Case di comunità». A suo avviso il modello ideale è quello della medicina di gruppo. A Villanuova, ad esempio, sono in 9 (con un bacino di 15mila pazienti), in uno stabile di loro proprietà con 3 segretarie e un’infermiera: «Condividiamo la stessa idea di lavoro e le spese, ci copriamo a vicenda, garantiamo una presenza dalle 8 alle 20, riusciamo a erogare servizi aggiuntivi. E potremmo fare ancora di più se ci fossero incentivi per l’acquisto di ulteriori strumenti».
Malessere

L’affanno che caratterizza il settore si ripercuote sui pazienti. Tanti sono i paesi bresciani, soprattutto quelli periferici, in cui la carenza dei medici di famiglia è cronica (con conseguenze negative per chi, si pensi agli anziani, deve recarsi in un altro paese per visite e ricette). Comunicare con loro, inoltre, non sempre è facile, idem fissare in tempi brevi un appuntamento. «Nel calderone delle lamentele ci sono quelle corrette e legittime, ma anche tante richieste eccessive», precisa Gozio. «Premesso che per le emergenze c’è l’Areu – prosegue –, abbiamo la sensazione che a volte l’efficacia del nostro lavoro venga valutata sulla base del tempo di risposta. Ricordo, però, che non siamo un servizio clienti».
Riferisce di «persone sempre più esigenti e meno tolleranti» anche il collega Braga: «Noi, in quest’ottica, abbiamo appena cambiato il centralino: quello nuovo informa i pazienti circa il numero di persone in coda (che a volte sono anche 28-30) e il tempo stimato. L’obiettivo è far capire loro quante sono le esigenze alle quali rispondiamo».
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