Infermieri: «Violenze verbali quotidiane, le più dure da gestire»

Sui giornali finiscono quasi sempre soltanto le aggressioni più brutali, quelle fisiche. Episodi che lasciano esterrefatti perché commessi nei confronti di medici e infermieri del pronto soccorso, uomini e donne che giorno e notte lavorano in prima linea affrontando emergenze e criticità. «Ma quelle che fanno più paura sono le aggressioni verbali, non solo perché da dopo il Covid sono aumentate in maniera clamorosa, praticamente si tratta di episodi quotidiani, ma soprattutto perché sono le più difficile da affrontare». A parlare è un infermiere del Civile, che alle spalle ha 14 anni di lavoro, dieci dei quali trascorsi proprio al pronto soccorso del principale ospedale della città, dove lavora anche oggi.
La situazione
«Quando abbiamo a che fare con un paziente psichiatrico o in stato di agitazione dovuto ad esempio all’abuso di sostanze stupefacenti, bene o male sappiamo come intervenire – continua –. Spesso la persona è già stata sedata e in molti casi le Forze dell’ordine sono presenti. Inoltre, facciamo corsi di formazione per imparare a gestire la rabbia dei pazienti, attraverso la tecnica della de-escalation: una serie di interventi sulla comunicazione verbale. Certo, sarebbe bello avere un posto di Polizia fisso in ospedale (c’è ma per poche ore al giorno, ndr), ma devo dire che con la Questura abbiamo un ottimo rapporto e in caso di emergenza, mandano una pattuglia il prima possibile. Dopo il Covid abbiamo notato un aumento delle persone con patologie psichiatriche, un aspetto questo legato anche all’abuso di droghe, soprattutto quelle sintetiche: su alcune persone possono far emergere disturbi che erano latenti. Poi c’è da dire che noi che lavoriamo al Civile di notte, tra medici, infermieri e operatori, siamo in circa quindici persone, dunque non siamo mai soli».
Cambiamenti
La situazione, però, è cambiata per quanto riguarda gli episodi di violenza verbale da parte degli stessi pazienti o dei familiari, che magari hanno atteso ore in sala d’attesa. «Certo, i tempi sono diventati più lunghi – spiega l’infermiere –, ma in questi anni c’è stato un miglioramento delle diagnosi a dir poco significativo: il paziente viene dimesso o ricoverato, in base alle necessità, ma con un quadro clinico molto più chiaro rispetto al passato. Ma per questo ci vuole tempo. E dopo diverse ore, uscire in sala d’attesa ed essere insultati, è molto dura. Certo, con il tempo ci si fa anche l’abitudine e spesso certi episodi non vengono nemmeno segnalati, ma non dovrebbe essere così. Credo che per noi operatori ci vorrebbero più corsi di formazione per quanto concerne la comunicazione efficace, ma allo stesso tempo la gente dovrebbe essere informata su come il pronto soccorso è cambiato in questi anni».
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