Cosa significa riconoscere lo Stato di Palestina

«Due popoli, due Stati» è un concetto elaborato da Londra nel 1937 e ripreso dall’Onu nel 1947
La bandiera palestinese - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
La bandiera palestinese - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Nel 1777, nella sontuosa reggia di Versailles un giovane Luigi XVI, allora appena ventitreenne, prese la decisione di riconoscere l’indipendenza degli Stati Uniti d’America quando questi controllavano a malapena un terzo del territorio che rivendicavano come proprio, le loro finanze erano al collasso e la vittoria contro l’Impero britannico appariva tutt’altro che scontata. Si trattò senza dubbio di un azzardo diplomatico, un gesto politicamente immaturo, fatto più per danneggiare Londra che soddisfare le ambizioni di George Washington e di Benjamin Franklin.

Benjamin Franklin
Benjamin Franklin

Quasi nulle erano allora le certezze sulla sopravvivenza della giovane repubblica americana. Eppure quella decisione prematura contribuì a trasformare quella che sarebbe potuta rimanere una mera ribellione anticoloniale, fortemente squilibrata nel rapporto di forze politico-militari, in una partita geopolitica globale.

Recentissima è la decisione adottata dal Presidente francese Macron, non tra le fastose stanze dell’Eliseo, ma più prosaicamente via social di riconoscere lo Stato della Palestina, riproponendo uno dei dilemmi più complessi della diplomazia: se il diritto debba seguire i fatti o se possa, talvolta, precederli per contribuire a plasmarli.

Nodo giuridico

Nel diritto internazionale il riconoscimento di uno Stato rappresenta un atto giuridico-politico attraverso cui un soggetto internazionale (generalmente un altro Stato) dichiara formalmente di considerare una determinata entità come Stato sovrano, dotato di personalità giuridica internazionale e capace di intrattenere relazioni diplomatiche. Nel dibattito giuridico si confrontano due visioni opposte su quando un’entità territoriale diventi effettivamente uno Stato. Secondo la prima teoria, quella del riconoscimento costitutivo, un nuovo Stato esiste solo quando altri Paesi lo riconoscano ufficialmente. Senza questa dimensione internazionale, rimane solo una mera aspirazione.

Una seconda concezione, dichiarativa, e prevalente nella prassi contemporanea, sostiene invece che il riconoscimento si debba limitare a constatare l’esistenza di fatto di uno Stato che già possiede i requisiti necessari secondo il diritto internazionale: popolazione permanente, governo effettivo, capacità di intrattenere relazioni internazionali, territorio definito. Se applicato al caso palestinese, il riconoscimento presenta particolari complessità dovute alla stratificazione storica del conflitto e soprattutto alle numerose questioni territoriali irrisolte. Sebbene infatti vi sia una popolazione permanente, stimata in cinque milioni di persone, ma in due enclaves distinte, Cisgiordania e Gaza, un primo problema si pone per il riconoscimento di un governo effettivo.

Autorità

L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), l’istituzione più vicina a un esecutivo che la Palestina abbia mai avuto, creata dall’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) nel 1994 come conseguenza degli Accordi di Oslo, e in base a un patto bilaterale con Israele, «governò» anche su Gaza fino al 2007, quando perse definitivamente il controllo politico-militare della Striscia dopo una vera e propria guerra intestina contro Hamas e quest’ultimo divenne una teocrazia militante. Riconoscere lo Stato di Palestina significherebbe riconoscere quello proclamato dall’OLP, ossia l’entità giuridica internazionale che ne esercita la rappresentanza, e non l’ANP, mera struttura amministrativa; né tantomeno Hamas, considerato da molto governi un’organizzazione terroristica, il quale perderebbe ogni potere residuale su Gaza e, con esso, il controllo sull’enorme flusso di denaro e di aiuti.

Quasi nulli ormai gli appoggi di cui può godere: la Lega Araba, in una dichiarazione senza precedenti, ha condannato gli attacchi del 7 ottobre, esortando Hamas a lasciare il controllo del territorio e liberare gli ostaggi israeliani ancora prigionieri. Eppure anche Hamas, era stato in grado di intrattenere «relazioni internazionali», una delle prerogative dell’iter riconoscitivo. Noti sono i contatti tra Hamas e l’Iran, ma anche con il Qatar e la Turchia. Difficile poi identificare nel concreto quale sia il territorio sul quale l’eventuale governo riconosciuto possa esercitare la sovranità. La quasi totalità dei riconoscimenti recenti specifica chiaramente i confini territoriali: quelli secondo i confini pre-1967: quindi Gaza e Cisgiordania, con Gerusalemme Est come capitale.

Questioni aperte

Tuttavia ci sono almeno tre ordini di problemi. Il primo riguarda l’assenza di confini legalmente definiti: la Linea Verde, esito dell’armistizio del 1949, non ha valore di frontiera internazionale riconosciuta e nemmeno gli Accordi del 1994, che avevano previsto una serie di negoziati per dirimere la questione, oltre alle problematiche relative alla sicurezza, al ritorno dei rifugiati e alla gestione delle risorse idriche, non si sono mai conclusi. A complicare il quadro, la «barriera di sicurezza israeliana» è stata spesso eretta al di là del suo tracciato originario. Correlato a questo sussiste una irrisolvibile frammentazione territoriale, che si evidenzia nella Cisgiordania, divisa da più di 800 checkpoint, da barriere di sicurezza e insediamenti; nella separazione fisica da Gaza e nell’isolamento de facto di Gerusalemme Est.

La bandiera palestinese e la tour Eiffel - Foto Ansa/Afp/Joël Saget © www.giornaledibrescia.it
La bandiera palestinese e la tour Eiffel - Foto Ansa/Afp/Joël Saget © www.giornaledibrescia.it

Infine, non disponendo di sovranità territoriale effettiva, l’ANP non può controllare le frontiere esterne, garantire la libertà di movimento all’interno del territorio rivendicato, esercitare piena giurisdizione penale, né impedire l’espansione delle colonie israeliane. Tutto ciò genera pertanto un paradosso giuridico: molti Governi riconoscono la Palestina riferendosi ai confini del 1967, su un territorio che lo «Stato riconosciuto» non controlla effettivamente. Ma la questione si permea anche di altri significati politici.

Scopi differenti

Alcuni Stati stanno utilizzando il riconoscimento, quale leva di pressione, per certi versi ricattatoria, come nel caso della Gran Bretagna, per indurre Israele a mettere fine alla drammatica situazione di Gaza, consentendo il flusso di aiuti e ad accettare un cessate-il-fuoco. Altre trascendono le questioni di diritto internazionale per inserirsi in una più complessa strategia di politica domestica.

La decisione di Macron riflette proprio un calcolo di politica interna volto a contenere le fratture sociali interne tra le più ampie comunità ebraica e musulmana d’Europa occidentale, che rischiano di importare il conflitto mediorientale nel tessuto sociale francese; riposizionare la Francia come potenza mediatrice europea capace di influenzare alleati riluttanti verso una soluzione negoziale, compensando così la marginalizzazione diplomatica subita in altri dossier internazionali. La tempistica tradisce inoltre l'urgenza di preservare il soft power francese nel mondo arabo e africano, dove Parigi vede erodere la propria sfera d'influenza tradizionale a favore di nuovi attori regionali e globali, rendendo il riconoscimento palestinese un investimento geopolitico per mantenere credibilità presso il Sud globale.

I Paesi Ue che riconosco lo Stato di Palestina
I Paesi Ue che riconosco lo Stato di Palestina

Certo è stato l’effetto domino che la sua presa di posizione ha sortito, con le Cancellerie di diverse nazioni che si apprestano a voler riconoscere la Palestina in occasione della prossima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Tutti i governi insistono sulla soluzione dei «due popoli, due Stati», mantra elaborato dalla Gran Bretagna nel 1937, ripreso dall’Onu nel 1947 e affossato dagli Stati arabi. Ora che anche questi ultimi potrebbero essere favorevoli ci si deve domandare, in concreto, di quali territori si stia parlando. Di una Gaza da ricostruire, dopo un investimento stimato di 53 miliardi e/o di una Cisgiordania ingovernabile, mosaico di giurisdizioni che si intersecano? Nel 1778 Franklin convinse la Corte francese che l’America meritava sostegno nonostante fosse territorialmente incompleta e militarmente vulnerabile.

Oggi la proposta è di riconoscere una Palestina frammentata e priva di sovranità effettiva. La storia diplomatica si ripete: il riconoscimento diventa un atto geopolitico, dove la volontà politica tenta di precedere e plasmare la realtà territoriale, trasformando le aspirazioni nazionali in leve di pressione internazionale. Ma da qualche parte bisognerà pur iniziare.

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