Cecilia Sala: «Racconto l’Iran dove la GenZ non è con gli ayatollah»

«Sono una giornalista, mi occupo di esteri, faccio l’inviata nelle aree di crisi e di guerra, lavoro per un quotidiano e per Chora Media, una testata giornalistica solo audio, un fenomeno enorme negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone. Tante persone, non solo i giovani, preferiscono ascoltare le notizie anziché leggerle».
L’arresto in Iran
Eroina spericolata o professionista senza paura? Di Cecilia Sala si possono dire entrambe le cose. Il 19 dicembre 2024 fu arrestata in Iran con l’accusa di aver violato le leggi della Repubblica Islamica e rinchiusa nel carcere di Evin. Fu liberata dopo 21 giorni di prigionia grazie all’interessamento del governo italiano, un viaggio lampo della premier Giorgia Meloni da Trump e, si disse, uno scambio di prigionieri che a suo tempo suscitò commenti e proteste e tuttora conserva lati oscuri. Dopo una breve pausa ha ripreso il suo lavoro, gratificata da diversi riconoscimenti. La Giuria del Premio Hemingway Lignano Sabbiadoro l’ha premiata nella sezione Testimone del nostro tempo «per i suoi reportage da zone di conflitto come l’Ucraina, l’Afghanistan e l’Iran».
In giro per il mondo
«L’Iran – afferma Sala – è il paese al quale sono più affezionata e che seguo da moltissimo tempo. Ho tante fonti, tanti amici e tanti contatti. Nel 2022 sono stata in prima linea anche in Ucraina, nel 2021 ero in Afghanistan, e sono stata nel sud Sudan di cui i nostri tg raramente parlano, malgrado gli oltre 150mila morti dell’ultima guerra. Il mio è un mestiere rischioso: i missili ti svegliano di notte e senti per ore i colpi dell’artiglieria. Nei Paesi dove piovono bombe da 5 tonnellate, prima o poi si può essere colpiti e l’attenzione deve essere sempre al massimo».
Cecilia Sala, cosa la emoziona di più del suo lavoro?
Vedere le cose con i propri occhi, ascoltare i racconti di prima mano da chi li ha vissuti è impagabile per chi vuole fare questo mestiere, a qualsiasi latitudine del mondo. È questa la molla delle emozioni: poter essere presenti a eventi spesso tragici e anche trasformativi della storia.
Il ricordo più brutto?
Il mio arresto in Iran e la detenzione nel carcere di Evin, a Teheran quando mi hanno presa come ostaggio. Sono stata rilasciata l’8 gennaio 2025. Sapendo come le cose funzionano in Iran ho creduto che sarei rimasta per anni in quel carcere. La mia liberazione in 21 giorni è stata miracolosa, la più veloce dal 1987 ad oggi, e tuttora le intelligence internazionali si chiedono come abbia fatto il nostro governo ad ottenerla così rapidamente. Sono grata di questo sforzo importantissimo, ed è agli atti il mio ringraziamento per questo successo clamoroso del governo italiano. Ero consapevole che se fosse sopraggiunta una circostanza internazionale come la guerra Israele-Iran non sarei più uscita.
Che vita è quella che i giovani vivono a Teheran?
Migliaia di ragazze che non indossano più il velo danno un altro volto della città. I giovani della generazione Zeta, ventenni e adolescenti, sono una generazione che non c’entra nulla con la Repubblica islamica, non hanno nulla a che fare con i suoi rigidi precetti e codici di abbigliamento: basta guardarli. In Iran ci sono novanta milioni di abitanti e non tutti si identificano con gli ayatollah. La gente non sa che il 70% dei laureati nelle materie Stem in Iran sono donne, in Italia solo il 22%. Parlare delle ragazze di Teheran come ho fatto in una trasmissione non significa rinnegare tutto quello che ho sempre detto del regime: fare una distinzione fra popolazione e regime, non significa giustificare la repressione.
Il suo nuovo libro sarà imperniato sul suo arresto e sulla carcerazione a Teheran?
Il mio nuovo libro – che non ha ancora un titolo definitivo – uscirà il prossimo settembre. Ci stavo già lavorando, quando sono partita per l’Iran lo scorso dicembre. Doveva essere un libro sul Medio Oriente, ma inevitabilmente conterrà anche il racconto della mia detenzione. Non era certo un capitolo previsto ma è accaduto, e ne parlerò perché è una parte della mia trasferta che non posso trascurare.
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