Detenuti e detenute, la relazione annuale del Comune di Brescia

Roberto Rossini, Luisa Ravagnani
A parte alcuni risultati positivi, è essenziale osservare a fondo le difficoltà e la situazione drammatica delle carceri bresciane: il testo letto in Consiglio comunale
Una veduta di Canton Mombello a Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
Una veduta di Canton Mombello a Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
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Oggi presenteremo in Consiglio Comunale l'annuale relazione sulla situazione bresciana dei detenuti a Canton Mombello e a Verziano nel corso del 2024. È un momento importante, perché permette di considerare una situazione scottante, pesante, difficile. Molto difficile.

La situazione

In Italia i detenuti nel 2024 sono stati oltre 61mila di cui stranieri poco più del 30%. A Brescia, nei due istituti, i detenuti a fine anno erano 501, di cui stranieri poco più del 40%. A preoccupare, oltre ai numeri in crescita, è il sovraffollamento: i 501 detenuti bresciani sono collocati in strutture che, al massimo, disporrebbero di 260 posti. Inoltre, con la disapplicazione del regime di «sorveglianza dinamica», ossia con la possibilità di potersi muovere nelle sezioni e nei corridoi, i detenuti – a Nerio Fischione – sono obbligati a stare tutto il giorno in cella, se non partecipando alle attività trattamentali. Per dire, una cella da 1 (in cui vivono 2 persone) è larga 300 centimetri per 300 centimetri. Estate e inverno. Giorno e notte. Sempre.

Il sovraffollamento

In una condizione così sovraffollata si moltiplicano le difficoltà: l'accesso ai servizi sanitari, educativi, lavorativi e, in generale, trattamentali; la comprensione delle regole. Un problema particolarmente sentito riguarda l’accesso alle telefonate che rimangono insufficienti rispetto alle necessità di contatto con i propri affetti.

In una condizione così sovraffollata vivono assieme persone che hanno compiuto reati molto diversi fra loro e che cercano di convivere nonostante le differenze di età, etnia, lingua, condizioni di salute mentale e fisica, comprese eventuali condizioni di dipendenza da sostanze o dal gioco.

Non è facile. E non è facile, in un contesto così, creare le condizioni per la rieducazione e la riabilitazione delle persone condannate, così come invece prevede l'art. 27/Cost., quando afferma che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato: per la nostra Costituzione il carcere deve essere rieducativo.

La rieducazione

La rieducazione è fondamentale sia per l'individuo sia per la collettività, perché garantisce la sicurezza delle città. Attualmente, secondo il Cnel, il tasso di recidiva è del 69%, e questo significa che 2 detenuti su 3 tornano a delinquere una volta usciti dal carcere, mentre solo 1 su 3 lavora. La scelta di tornare a delinquere dipende quindi spesso da mancanza di risorse e concrete opportunità di reinserimento. Ne deriva che, al di là della comprensione della gravità del reato compiuto e della sincera volontà del singolo di reimpostare la propria esistenza sui valori della legalità, è prioritario promuovere l’utilizzo di maggiori e sempre più adeguate risorse per garantire la piena efficacia delle proposte trattamentali

A Brescia, grazie a una Amministrazione penitenziaria disponibile al dialogo, è stato possibile realizzare diversi progetti attuati in sinergia con l’Amministrazione comunale, con le scuole, con le tante realtà del terzo settore che generosamente promuovono corsi di formazione, attività artistiche e lavorative, opportunità di riflessione e di azione, affinché il carcere sia sempre più parte integrante del territorio. Per certi aspetti, siamo un modello positivo.

Riflettere sul concetto di pena

Tuttavia, sarebbe anche il caso di chiedersi cosa significhi eseguire la pena, oggi, nel XXI secolo. Canton Mombello è un carcere costruito su un paradigma tipicamente ottocentesco, mentre Verziano è evidentemente strutturato con logiche più contemporanee, di fine Novecento. E oggi, cosa costruiremmo? È una questione significativa, perché ci costringe a elaborare un pensiero sul rispetto delle regole e delle conseguenti pene, sul tipo di pena, sulle forme di riabilitazione e sui modelli di sicurezza individuali e collettivi, sulla sofferenza e sulla dignità umana. È una questione significativa che, da pensiero, deve tradursi in azione.

Roberto Rossini, presidente del Consiglio comunale di Brescia

Luisa Ravagnani, garante dei detenuti

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