Grotte di Aladino e Fontanone collegate: l’impresa è anche bresciana

Un urlo di gioia proveniente dalle viscere dell’Adamello ha accolto, pochi giorni fa, la conclusione di un progetto di ricerca sotterraneo ultratrentennale che ha avuto nel Gruppo Grotte Brescia il suo motore principale, e che rappresenta un risultato di rilievo in un contesto esplorativo di scala extra nazionale.
Teatro delle attività è stata la Val Nova, laterale destra della più ampia Val Daone nella quale transita anche un tratto dell’Alta Via dell’Adamello, zona di richiamo europeo per l’arrampicata sulle cascate di ghiaccio, su vie di roccia e sui massi del fondovalle.
La grotta
Sulle creste che delimitano la destra orografica della Val di Fumo e della Val Daone si pongono a contatto le aree protette del Parco dell’Adamello in provincia di Brescia e quella dell’Adamello Brenta sul suolo trentino. In Val Nova, alla quota di 1980 metri, si apre in località Casinei di Nova la grotta di Aladino. L’eccezionalità di questa grotta consiste nella roccia nella quale si sviluppa, rappresentata non da una classica tipologia carsica, bensì da una lente di marmo che, in un contesto di litologie granitiche caratteristiche del gruppo dell’Adamello, deve la sua lontanissima origine all’influenza delle alte temperature e delle pressioni elevate esercitate sulle rocce carbonatiche dai magmi dell’Adamello. Serve della fantasia quindi, ed è questa la provocazione lanciata dalla natura potente e creativa agli speleologi, per immaginare una grotta importante in Val Daone.
Tra pastori e soldati
La prima parte di questa cavità era ben nota ai locali, utilizzata prima dai pastori come riparo, e poi sfruttata come postazione nel corso della Prima guerra mondiale. Nessuno speleologo tuttavia aveva mai dato credito alle segnalazioni ricevute sulla sua presenza. Si deve all’altoatesino Gerold Moroder, nel 1993, la rocambolesca esplorazione della prima Sala del Ghiaccio, oltre la quale ha proseguito in discesa lungo una serie di pozzi e di meandri che l’hanno condotto fino alla ragguardevole profondità di 200 metri.
L’anno successivo, nel 1994, la cavità di marmo tra i graniti ha attratto la curiosità anche degli speleologi del Gruppo Grotte Brescia, desiderosi di approfondire la conoscenza dei fenomeni sotterranei presenti in un territorio «costituzionalmente» estraneo ai fenomeni carsici. L’attività esplorativa di gruppo ha favorito il raggiungimento di 9 chilometri di sviluppo e una profondità massima di 350 metri.
L’obiettivo
La bellezza delle sale sotterranee modellate dalla forza del torrente emissario del lago di Casinei che si perde nel sottosuolo ha richiamato con immediatezza nella mente degli speleologi gli ambienti di una favola, e da qui è nato il nome di Grotta di Aladino. Negli anni successivi le ricerche sono proseguite anche mediante esplorazioni subacquee, nel tentativo di collegare questa grotta con la sorgente del Fontanone ubicata un chilometro più a nord sul versante della Val Redoten. La teoria del collegamento era sostenuta da alcuni boscaioli locali, ai quali non era sfuggito che la segatura caduta nel torrente del Casinei fuoriusciva dal Fontanone.
Missione compiuta

Lunedì 18 agosto, come riferiamo sotto, l’audacia dello speleosub lecchese Luigi Casati supportato dal Gruppo Grotte Brescia ha consentito di concludere l’esplorazione del chilometro sotterraneo allagato che unisce in profondità la grotta di Aladino a quella del Fontanone. Il complesso ipogeo presenta allo stato attuale uno sviluppo conosciuto di 10 chilometri e un dislivello di 400 metri. Numerosi sono ancora i punti interrogativi che saranno oggetto di future esplorazioni da parte degli speleologi.
Gli speleosub
L’orizzonte delle attività di uno speleosub è angusto, spesso praticato in forma solitaria e con visibilità ridotta, carico di incognite e di pericoli, richiede sangue freddo e una grande preparazione mentale. Matteo Rivadossi del GgB ha partecipato a diverse esplorazioni nella grotta di Aladino e ha coordinato anche la più recente che ha richiesto una macchina organizzativa complessa per il trasporto di quintali di materiali delicati. «Nei giorni scorsi – racconta – una squadra ha trasportato per l’ennesima volta bombole, bombolini, erogatori, pesi, mute, lampade e mille diavolerie che si sono caricati addosso i nostri eroi prima di sparire in acqua, uniti a noi dalla sola sagola guida, il filo d’Arianna che lega i sogni al nostro mondo. Da brividi, nonostante l’abitudine».

«I nostri eroi» sono gli speleosub, ai quali ha aperto la strada per primo Gianni Guidotti da Firenze. Dal 2024, tra fatiche, azzardi e ritiri causa meteo sfavorevole, hanno contribuito a spingere il confine delle esplorazioni al buio e al freddo sempre un po’ più avanti, fino al traguardo raggiunto pochi giorni fa, lo sloveno Simon Burja, Andrea Scipioni di Mantova, Alessandro Noferi di Prato e Paolo Lenaz di Pistoia. Un ruolo di rilievo è svolto dallo speleosub lecchese Luigi Casati, immersosi più volte nella grotta di Aladino. È stato lui a percorrere gli ultimi 400 metri inesplorati che separavano Aladino dal Fontanone.
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