Nelle Filippine gli speleologi bresciani hanno scoperto 19 km di cavità

Si è conclusa nelle Filippine la spedizione speleologica «Samar 2025», organizzata dall’associazione Odissea Naturavventura e dal Gruppo Grotte Brescia. Dei nove componenti della squadra di esploratori, composta da esperti europei e asiatici, hanno quindi concluso la loro avventura anche i quattro bresciani, rappresentati dal capospedizione di Nave Matteo Rivadossi con il figlio Nadir, da Claudio Castegnati di Botticino e da Teresa Lecchi di Calcinato.
Sorprese e soddisfazioni
Gli speleologi hanno concentrato le loro attività nell’area carsica del Basey, situata nella zona meridionale dell’isola di Samar. Anche questo viaggio nelle Filippine (per qualcuno il diciassettesimo) è stato prodigo, oltre che di fatiche, di sorprese e di soddisfazioni, e ha permesso di conseguire importanti risultati e rilievi che saranno oggetto di approfondimenti in Italia nelle prossime settimane, ma che già annunciano un totale di circa 19 chilometri di nuove esplorazioni.
Si tratta di un dato di assoluto rilievo, che va ad aggiungersi agli oltre 165 chilometri di cavità sotterranee sconosciute, discese e attraversate in vent’anni di attività in questa zona, che si configurano come il più grande risultato esplorativo conseguito da speleologi italiani all’estero.
Non è facile ottenere questi risultati. Serve una rara combinazione di elementi che comprendono la coesione del gruppo, approfonditi studi cartografici e geologici preliminari, la gestione della complessa organizzazione prima della partenza e nel corso delle attività svolte in loco.
Forme spettacolari
Il carso tropicale ha consegnato agli esploratori la soddisfazione della scoperta di forme sotterrane sconosciute contraddistinte da enormi aperture, maestosi saloni circolari, canyon tortuosi. Anche questa volta le severe condizioni ambientali non hanno regalato niente.
Per raggiungere queste spettacolari forme della natura sono stati richiesti lunghi spostamenti su motociclette cariche all’inverosimile guidate dai locali, campi attrezzati nella foresta con notti trascorse sulle amache, e poi lunghe camminate con i materiali in spalla, nella foresta impenetrabile anche alla ricezione del segnale dei telefoni satellitari, su terreni resi difficoltosi dalla presenza di fango, pietre taglienti, grandi depressioni da discendere e poi risalire sotto la pioggia, con le inevitabili infezioni fungine ai piedi.
Raggiunti gli ingressi delle grotte si è poi rivelato indispensabile affrontare con estrema cautela i tratti di arrampicata e i traversi sotterranei, l’esplorazione delle gallerie allagate dei diversi rami del fiume Bugasan, talvolta caratterizzate da pericolosi flussi di corrente.
Gli speleologi ci raccontano con entusiasmo dei portali di Mailang-ignag e delle due Timbao Mama Cave, della superba Caponitan Cave con i suoi 3.500 metri di sviluppo, della valle chiusa di Tobong, del labirinto di gallerie parallele di Asoyan Cave. E poi ancora del rapporto con le guide, i portatori e i cuochi locali ingaggiati, a completare con un’esperienza di cordialità umana un grande viaggio nei selettivi ambienti naturali del continente asiatico. È già nostalgia, e voglia di tornare.
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