Quella grotta nella nuda roccia schiude i cancelli del cielo

In Valle Imagna, a Bergamo, il suggestivo santuario mariano della Cornabusa ricavato all’interno di una cavità naturale nella montagna
A destra, l’entrata alla chiesa nella «roccia bucata» - © www.giornaledibrescia.it
A destra, l’entrata alla chiesa nella «roccia bucata» - © www.giornaledibrescia.it
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Anche questa rubrica partecipa con un apporto specifico all’anno di Bergamo Brescia Capitale italiana della Cultura 2023, e lo fa attraversando l’Oglio per «spedire» ai lettori bresciani qualche cartolina anche dalla terra orobica. Perso nella verde Valle Imagna, di cui vien subito da pensare costituisca il cuore (siamo a Cepino di Sant’Omobono Terme), il Santuario della Madonna Addolorata della Cornabusa è un luogo di meditazione e di astrazione. Astrazione dal mondo, da se stessi, dalle distrazioni alle quali siamo esposti tutto l’anno, che ormai non fai in tempo a festeggiare Halloween e Ognissanti che compaiono le luminarie di Natale e non fai in tempo a disfare l’albero che appaiono frittelle e coriandoli. E che è?

Via allora da quest’ansia concitata di cambiare registro di continuo, di essere sempre impegnati in preparativi di non si sa bene cosa. Basta con questo «horror vacui». È per «amor vacui» (in senso buono) che si deve andare in questo silenzioso luogo sacro dalle pareti di nuda pietra non invase dagli ex voto, i quali, cuori chiusi in piccole cornici o altri sobri doni, sono concentrati in poco spazio.

Il ruscello che scorre, le candele accese, l’abbraccio della roccia e persino la poderosa inferriata dell’ingresso: tutto sembra concertato da un’entità superiore per aiutare il pellegrino (chiunque approdi qui, sia che sia giunto per volontà, curiosità o per caso, si trasforma automaticamente in pellegrino) a prendere distacco dalla quotidianità. Ogni cosa si attutisce. I rumori, la rabbia, le preoccupazioni e soprattutto qualcosa che tutti sperimentiamo spesso ma difficilmente confessiamo di provare: la paura.

All’improvviso sei tranquillo. Ascolti l’acqua, la senti sulle mani, guardi la luce delle candele, annusi quel miscuglio zen di profumo creato dalla cera che si scioglie in fumo, dagli alberi e dalla pietra e di colpo quell’ala nera che sentivi incombere su di te svanisce. Riappare la forza che credevi persa. Ti senti protetto come coloro che, ai tempi delle lotte tra Guelfi e Ghibellini, si nascosero qui, portandosi appresso la statuetta della Madonna Addolorata (c’è ancora, ovviamente). O come la pastorella sordomuta che, avendo quaggiù trovato riparo dalla tempesta, riacquistò voce e udito.

La Cornabusa è un esempio di essenzialità anche nel nome: significa infatti, nel dialetto locale, «roccia bucata», termine che descrive con precisione questa enorme roccia scavata (dall’acqua e dall’uomo), a creare un ampio ambiente sostenuto da una gigantesca volta di pietra. Una grotta, insomma. Ti senti compreso da questa straordinaria struttura, nel senso che sei fisicamente avvolto ma anche psichicamente in sintonia con essa. Da dentro, voltando lo sguardo verso il fuori, vedi stendersi la valle tra il verde delle Prealpi. Esci e, scrutando l’interno (più luminoso del previsto), ti senti perfuso dalla solenne solidità della pietra. Insomma, sia osservando l’interno dall’esterno che viceversa ti sembra di essere davanti a qualcosa che apre nuove dimensioni e ha il potere di dissolvere la paura. Sei davanti ai Cancelli del Cielo.

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