Gromo, dove la condanna alla miniera è diventata una benedizione

Anche questa rubrica partecipa con un apporto specifico all’anno di Bergamo Brescia Capitale italiana della Cultura 2023, e lo fa attraversando l’Oglio per «spedire» ai lettori bresciani qualche cartolina anche dalla terra orobica. «Damnatio ad metalla», condanna alla miniera, era la pena che, come dice Plinio il Vecchio, veniva inflitta ai cristiani destinati a vita ai lavori forzati nei giacimenti della Val Seriana. Da un'enorme sofferenza e dal trascorrere dei millenni è nata, su un'altura, Gromo, che in latino significa collina.
Puoi venirci cento volte e cento volte la vedrai con occhi diversi: una magia intrinseca fa sì che il borgo si modifichi a seconda del tempo, della stagione, del colore del cielo, dell'ora... Si trasforma, si lucida, s'illumina, s'illividisce. Sorge in una dimensione cangiante, in cui la beatitudine cambia forma e colore costantemente: il giallo del sole, il grigio e il bianco traslucido degli edifici abbracciati dalla pioggia, il verde delle alture circostanti, il caldo colore della pietra che di colpo si raffredda.
La storia del sito è legata al ferro, estratto fin dai tempi dei Celti, e all'argento, che arrivava da posti chiamati Argenterie. Ed è proprio a difesa di questo metallo, che faceva gola a molti, che nel XIII viene edificato, su un sperone di roccia sopra il Serio, il castello dall'impresssionante torre, a guardia di questo paese dalle case composte con i tetti in ardesia. Sulla facciata del castello, rivolta alla piazza, un gigantesco San Cristoforo è stato dipinto forse per mascherare un danno.Nel 1267 il paese acquisisce l'autonomia con la nascita della comunità del borgo, che diventa ricca e potente con l'arrivo, nel 1428, dei veneziani, i quali danno forte impulso all'ormai qui secolare produzione di spade, alabarde, pugnali, coltelli: Gromo si specializza in elaboratissime creazioni di armi bianche destinate a essere esportate in tutta Europa e diventa la «Piccola Toledo».
Il museo
Il Museo delle Armi Bianche e delle Pergamene riassume bene la raffinatezza raggiunta dai Maestri Armaioli di questo luogo sperduto, che tanto sperduto poi non era. Come avrebbe potuto diventare così bello senza commerci tanto floridi? Il museo è all'interno di Palazzo Milesi, quattrocentesco edificio dagli arditi loggiati. Poco fuori dal paese è la chiesa di San Giacomo e Vincenzo, con affreschi cinquecenteschi e, nella cappella di San Benedetto da Norcia, quattrocenteschi.
Sulla collina che guarda la vallata si staglia la torre del Gananderio o Lavanderio per via di un abbeveratoio per animali dall'aspetto di una fontana. La cosa più bella da fare a Gromo è girare e guardarsi intorno. Nelle vie interne e tra il verde circostante, per gioire della perfetta armonia che unisce strutture fatte dall'uomo e dalla natura di questo borgo di miniere e fucine che ha trovato la sua strada in punta di spada, scoperto l'alta specializzazione, curato da sempre ogni dettaglio, sia di un'arma bianca che di una casa che di una pianta. Una «damnatio ad metalla» che il tempo ha reso una benedizione.

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