Un dipendente bresciano su quattro ancora senza vaccinazione

Il segretario provinciale Cisl Reboni preoccupato per la situazione
Siringhe per il vaccino -   Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Siringhe per il vaccino - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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I numeri fotografano una situazione che può diventare drammatica e portare a sviluppi spiacevoli. Secondo i dati forniti da Ats Brescia e Ats Montagna aggiornati a metà agosto più o meno un quarto (104mila su 432mila) dei lavoratori dipendenti nella provincia di Brescia non ha ancora effettuato il vaccino prima dose e ce ne sono altri 144mila che devono fare ancora la seconda dose. Vale a dire oltre la metà dei lavoratori dipendenti bresciani non ha completato il ciclo vaccinale. Dati allarmanti che preoccupano non poco il segretario provinciale della Cisl, Paolo Reboni che rincara la dose su un altro aspetto.

«Come sindacato ricordo alle associazioni di categoria datoriali che abbiamo firmato l’11 giugno un accordo che all’articolo 5 prevede che ciascuna azienda si impegna a concedere fino ad un massimo di 4 ore di permesso retribuito ai propri dipendenti per recarsi presso una sede o hub vaccinale per la somministrazione del siero anticovid. Noi come Cisl ci siamo impegnati non poco per far rispettare questo accordo, ma noto che lo stesso è in grande parte inapplicato. Sulla questione abbiamo richiesto al viceprefetto la convocazione di un tavolo per sollecitare l’applicazione dello stesso».

Le preoccupazioni di Reboni riguardano anche il ritmo di vaccinazione. «All’attuale velocità di somministrazione delle dosi, se improvvisamente tutti i lavoratori dipendenti sprovvisti di vaccino decidessero di vaccinarsi ci vorrebbero oltre 15 settimane, vale a dire andiamo a fine anno. Peccato che a fine settembre chiudano alcuni hub. Nel frattempo nelle aziende sperimentiamo già le difficoltà e le disparità fra vaccinati e no vax senza considerare il rischio di contrarre il covid che per le aziende rappresenta un danno economico non indifferente con assenze prolungate degli infettati e il rischio di quarantene di interi reparti. Rischiamo quest’autunno di ingolfarci sul serio. Se le aziende brave a investire per la campagna vaccinale nei Paesi poveri con meno ipocrisia decidessero di investire quel poco che basta per un’ora o due di permesso per permettere o agevolare la vaccinazione dei propri dipendenti forse inizieremmo a risolvere il problema». A preoccupare Reboni anche il rallentamento della campagna vaccinale «mi auguro solo che sia legato al mese di agosto con tante gente in ferie».

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