Tre ucraini a Manerba: «Torniamo a casa per combattere»

Nonna Oxana ha provato in tutti i modi a trattenerli: con le buone e le cattive, con la ragione e le lacrime, con le carezze e la forza. Ma di fronte alla ferrea convinzione della figlia e alla granitica determinazione dei nipoti ha dovuto gettare la spugna. Con la morte nel cuore e i singhiozzi ricacciati in gola, ha affidato i suoi affetti più cari nelle mani di Giusy e del marito Diego, con la speranza un giorno di rivederli sani e salvi.
Irina, Anastasia e Nazar qui in Italia non ci volevano stare. Erano arrivati a Manerba del Garda una ventina di giorni fa, dopo essere fuggiti dai bombardamenti di Odessa, nel sud dell'Ucraina. Ad accoglierli, a braccia spalancate, proprio nonna Oxana che in Italia lavora come badante da anni. «Loro, però, volevano solo tornare a casa» ci racconta Giusy Cantoni di Concesio, che insieme al marito Diego Ungaro ha acconsentito a riaccompagnare la famiglia in Ucraina.
«Ho deciso in autonomia di organizzare il viaggio verso il confine ucraino - racconta la donna, che presta il suo tempo anche come volontaria al centro di raccolta di Folzano -. Volevo dare il mio contributo e, allo stesso tempo, fare questa esperienza forte di solidarietà. Mio marito si è preso una settimana di ferie per accompagnarmi e abbiamo noleggiato un furgone. L’idea era quella di trasportare aiuti alla frontiera e, al ritorno, di portare con noi in Italia una o due famiglie in fuga. Quando però ci hanno chiesto di dare un passaggio a tre persone che volevano tornare in Ucraina abbiamo dato la nostra disponibilità. Anche se emotivamente è difficile accettare ciò che la decisione di questa famiglia comporta».Già, perché Irina, Anastasia e Nazar hanno scelto di tornare a casa, nell’Ucraina martoriata dalla guerra, nella patria che non hanno smesso un secondo di rimpiangere, nonostante le esplosioni e le bombe. «Non parlano una parola di italiano - ci racconta Giusy -, ma siamo riusciti a comunicare attraverso il traduttore di Google. Anastasia, che ha solo sedici anni, è stata molto chiara. Ci ha detto che qui in Italia si sentiva "spenta, persa, già morta". Lei vuole tornare in Ucraina per aiutare come volontaria, come fanno molti suoi coetanei rimasti ad Odessa. Suo fratello Nazar, invece, che ha diciotto anni e mezzo, quasi sicuramente sarà arruolato, ma dice di non avere paura. Il loro papà sta combattendo e, anche loro, vogliono dare il loro contributo per la democrazia e la libertà in Ucraina. Vogliono far tornare la loro patria un luogo dove vivere sereni. Ma sono così giovani. Mi piange il cuore al pensiero di lasciarli lì con la loro mamma. Come la loro nonna ho provato a convincerli, ma non hanno voluto cambiare idea».
Giusy e Diego li hanno salutati al confine con la Polonia, dove sono arrivati dopo un viaggio lungo quasi ventiquattro ore. La Polizia ha accolto i bresciani alla frontiera e si è offerta di accompagnarli al campo profughi allestito dentro ad una scuola. «È straziante, sono devastata» ci ha raccontato quasi in diretta Giusy. Che qui ha depositato gli aiuti raccolti: cibo in scatola, coperte, giocattoli, scarpine e vestitini da neonato. «Ma soprattutto - spiega - una preziosa scatola contenente strumentazione chirurgica per gli ospedali». Dopo aver cenato tutti insieme i poliziotti si sono fatti carico di Irina, Anastasia e Nazar. Saranno loro a riaccompagnarli a casa. Dove esplodono le bombe.
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