Strage di piazza della Loggia: come si è arrivati al sesto processo per Tramonte

Accolta la richiesta di revisione dei difensori del 70enne, noto come fonte Tritone, che era stato condannato all’ergastolo nel 2017
Maurizio Tramonte in collegamento dal carcere di Fossombrone - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
Maurizio Tramonte in collegamento dal carcere di Fossombrone - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
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Tramonte avrà un nuovo processo, il sesto. La strage di piazza Loggia, dopo i cinque gradi della prima inchiesta, i tre della seconda e i cinque della terza (quella appunto che riguarda la fonte Tritone, oltre a Carlo Maria Maggi) arriva invece a quota quattordici gradi di giudizio. Sedici contando pure le sentenze ordinanze Ballan e Bonati.

Lo hanno deciso i giudici della Corte di appello di Brescia (presidente Giulio Deantoni, a latere Paolo Mainardi ed Ilaria Sanesi) accogliendo l’istanza di revisione formulata dai legali del 70enne condannato nel 2017 all’ergastolo per l’attentato del 28 maggio 1974 che costò la vita ad otto persone e provocò il ferimento di altre centodue. Appuntamento al prossimo 8 luglio. In quell’occasione, come richiesto dagli avvocati Baldassare Lauria e Pardo Cellini, saranno sentite Patrizia Foletto e Manuela Tramonte: la moglie e la sorella del 70enne passato alla eterna storia processuale di piazza Loggia, dapprima come fonte confidenziale dei servizi segreti, poi come indagato, imputato e condannato per aver saputo in anticipo della bomba e non aver fatto nulla per impedirla.

Prove nuove

Le due donne saranno chiamate a deporre sulla circostanza che Tramonte all’epoca della strage portasse la barba. Secondo le aspettative della difesa dovranno smentire la fotografia che permise alla perizia antropometrica del professor Capasso di affermare che l’allora 22enne esponente dell’estrema destra patavina confidente del Sid fosse in piazza - sbarbato di fresco - poche ore dopo l’esplosione che quella mattina squassò piazza Loggia e seminò morte tra i partecipanti alla manifestazione antifascista indetta dai sindacati l’indomani un’altra esplosione, quella che il 19 maggio azzerò il futuro di Silvio Ferrari.

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I giudici hanno ammesso la revisione limitatamente alla loro testimonianza. Non hanno trovato accoglimento gli altri tre argomenti spesi dagli avvocati Lauria e Cellini: non la consulenza antropometrica effettuata con un software di nuova generazione in grado di smentire la compatibilità tra Tramonte e la foto scattata in piazza finita al centro dell’elaborato del professor Capasso; non il supposto contrasto di giudicati con la sentenza della Corte d’assise d’appello di Venezia, che nel 1985 attribuisce la bomba ad un gruppo di neofascisti bresciani; non la ipotizzata violazione delle disposizioni Cedu, per l’utilizzo contro di lui dichiarazioni che lo stesso Tramonte rese in procedimento connesso.

La difesa: «1-0 per noi»

L’accoglimento dell’istanza fa esultare i difensori di Tramonte, che ora si apprestano a chiedere la sospensione della sua carcerazione e il suo trasferimento ai domiciliari. «Abbiamo sostenuto che la presenza del nostro assistito in piazza Loggia quella mattina - hanno affermato gli avvocati Lauria e Cellini - fosse baricentrica. Togli Tramonte e crolla tutto il castello accusatorio. Siamo solo sull’1-0, la partita è ancora lunga e nulla è ancora deciso».

Il procuratore generale Guido Rispoli resta convinto che Tramonte fosse in piazza quella mattina. La circostanza per il pg non è da mettere in discussione. «Vincenzo Arrigo, compagno di cella del condannato, raccolse la sua confessione ed è stato giudicato credibile. Disse - ha spiegato Rispoli ai giudici della Corte d’appello - che Tramonte gli mostrò una foto e gli disse che quello ritratto in piazza Loggia era lui. Al massimo abbiamo un’immagine sbagliata. Forse gliene mostrò un’altra. Di sicuro però questa circostanza non può travolgere la pronuncia».

Secondo gli avvocati di parte civile l’ergastolo a Tramonte poggia anche su altro. «Ancora prima della scoperta della foto del condannato ritratto davanti al colonnato sbrecciato dall’esplosivo - hanno sottolineato - la Corte di Cassazione, annullando la sua assoluzione, invitò la Corte di assise di appello di Milano ad analizzare diversamente gli indizi raccolti a suo carico. Nel fascicolo c’erano già gli elementi probatori per condannarlo all’ergastolo, andavano valutati nel loro insieme. Quelle che vuole introdurre la sua difesa non sono prove nuove, a meno che non vogliamo attribuire carattere di novità decisiva alle testimonianze della moglie e della sorella di Tramonte che saranno chiamate a riferire se all’epoca il loro congiunto portasse o meno la barba».

Il commento di Manlio Milani

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STRAGE DI PIAZZA LOGGIA, SI' ALLA REVISIONE

«Rispettiamo questa decisione e ci prepariamo ad affrontare l’udienza del prossimo 8 luglio». A parlare è Manlio Milani, presidente dell’associazione dei famigliari delle vittime di piazza Loggia. Più che dalla scelta dei giudici di accogliere l’istanza di revisione formulata dai difensori di Tramonte, Milani è turbato da alcune loro affermazioni. «Ho sentito dire che le parti civili si abbeverano del sangue di innocenti, ma anche che alle parti civili basta che ci sia un colpevole. Oltre ad essere una perdita di stile da parte dei difensori - ha spiegato a caldo Milani - è prova del fatto che la difesa non conosce e non rispetta la storia processuale di questa città, che è partita non accettando la prima istruttoria (l’inchiesta Buzzi, ndr) e che a fronte dell’assenza di prove sufficienti a carico di Delfino, Rauti e Zorzi, ha rinunciato a proporre ricorso e accettato la loro assoluzione. Poi ci sono le stupidaggini e volgarità di Tramonte, che preferisco non commentare».

Cos'ha detto Tramonte

«Sono stato condannato innocentemente per la strage di piazza della Loggia: un reato criminale e vigliacco. E io non sono né criminale, né vigliacco». Le parole, testuali, sono di Maurizio Tramonte. Escono, insieme alla sua immagine, dai monitor appesi alle pareti dell’aula di Corte d’appello nella quale si sta discutendo dell’istanza di revisione della sua condanna all’ergastolo. Il 70enne estremista di destra padovano è collegato in videoconferenza dal carcere, dove sta scontando il massimo della pena per l’attentato del 28 maggio di 48 anni fa. È seduto ad una scrivania. Indossa una polo blu, inforca occhiali da lettura, porta una folta zazzera grigia. Maneggia alcuni fogli.

Dai suoi appunti pesca spunti a strascico e lo fa sfoderando una voce conosciuta. Quella sentita a lungo dal maresciallo Giraudo nella seconda metà degli anni ’90, mentre gestiva la sua collaborazione, fino alla sua ritrattazione. Quella stessa sentita in aula, alla fine della prima decade del 2000, nel corso del suo lungo esame. Anche gli argomenti si assomigliano. Non tutti.

Di nuovo, nell’orizzonte di Tramonte, ci sono i bersagli. Chi gli ha testimoniato contro; da un lato. Chi l’ha indagato e portato a processo dall’altro. La fonte Tritone, attacca prima Vincenzo Arrigo e Domenico Gerardini. Il primo disse di aver raccolto da Tramonte - che gli mostrò una foto scattata nei minuti dopo l’esplosione - la confessione circa la sua presenza in piazza Loggia la mattina della strage. Il secondo testimoniò la circostanza che il condannato gli riferì di essere stato ad Abano Terme, a casa di Giangastone Romani, alla riunione in cui, il 25 maggio del 1974, Maggi decise e pianificò la strage, e di essersi presentato in sella ad una Ducati Scrambler, effettivamente posseduta dal condannato in quei mesi.

Le tre fotografie d'epoca al centro della richiesta di revisione - © www.giornaledibrescia.it
Le tre fotografie d'epoca al centro della richiesta di revisione - © www.giornaledibrescia.it

«Ho conosciuto Arrigo a Verziano. Mi avevano avvertito - ha detto Maurizio Tramonte - mi avevano detto che era un attaccabrighe e un calunniatore seriale. Era invadente, voleva sapere tutto. Era uno scroccone, mi chiedeva sempre le sigarette. Io con lui tagliai subito corto. Un giorno mi venne a chiedere di prestargli le scarpe da ginnastica, gliele rifiutai, perché non si faceva mai la doccia. Non gli dissi mai nulla. Quello che ha riferito ai giudici è frutto della sua fantasia e di quello che ha letto sui giornali».

Invenzione, stando al condannato, anche quanto riferito da un altro compagno di cella, quel Domenico Gerardini che parlò della trasferta ad Abano in Ducati. «Un giorno mi fece vedere una foto del Sole 24 Ore, c’era una Scrambler di quell’epoca. Mi chiese se me la ricordassi e io gli risposi di averne posseduta una, ma azzurra, non gialla come quella della foto. Di essere stato in moto a casa Romani, quel giorno (il 25 maggio 1974, ndr) non ho mai parlato. Arrigo e Gerardini sono come lo scorpione che quando arriva dall’altra parte del fiume punge la rana che ce l’ha portato. Non sono cattivi, è la loro natura: sono invidiosi e ignoranti».

Tramonte nega la partecipazione a quella riunione ad Abano Terme, ma non nega il rapporto con Romani, che all’epoca era uno dei referenti di Ordine Nuovo del Veneto. «Davanti al suo hotel ci ho sono passato tutti i giorni finché ho lavorato a Lìmena - ha detto - andavo anche a prendere materiale elettorale, per il referendum sul divorzio. Ma a quell’incontro io non c’ero». A suo dire il suo ruolo è stato inventato. «Il pm Piantoni e il capitano Giraudo hanno voluto costruire su di me un personaggio che non esiste - ha concluso - anzi che esiste solo nella loro testa».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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