Spedizione punitiva in stazione: un telefono rubato ha scatenato la rissa tra i ragazzini

Non è facile fare chiarezza su quanto accaduto martedì pomeriggio sul piazzale davanti alla stazione ferroviaria prima e in via XX Settembre poi tra una trentina di ragazzi. Una spedizione punitiva finita in rissa è quello che le testimonianze di chi si è trovato a essere suo malgrado spettatore hanno permesso di ricostruire nelle prime ore ma andare oltre è complesso.
Da una parte ci sono le certezze visive, la sequenza dei fatti registrata dalle moltissime telecamere del servizio di videosorveglianza cittadino che monitorano il quartiere ma dall’altra ci sono poche parole e moltissimi silenzi dei ragazzi che sono stati identificato e ascoltati. Omertà, paura di ritorsioni quando non direttamente l’intenzione di coprire qualcosa o proteggere qualcuno complicano non poco il lavoro degli uomini in divisa che sono comunque determinati ad arrivare a capire cosa abbia determinato i minuti di follia di martedì pomeriggio.
Le indagini
Nelle mani degli uomini della Volante della Polizia di Stato e del nucleo di Polizia Giudiziaria della Polizia locale di Brescia ci sono le prime dichiarazioni, quelle rilasciate a caldo e che spesso sono le più indicative. Secondo chi era più vicino al ragazzo, maggiorenne da poco, che è stato portato in codice giallo in Poliambulanza, l’aggressione sarebbe stata solo un tentativo di rapinare uno smartphone cui la vittima e gli amici si sarebbero opposti.
Una versione diametralmente opposta a quella che invece metterebbe la «ragione» dalla parte del gruppo arrivato in stazione e che quello stesso telefono lo intendeva solo recuperare, essendo uno di loro la vittima della rapina. Molte delle persone presenti non avevano documenti, alcuni minori sono ospiti di strutture di accoglienza e quelle identificate sono maggiorenni e minorenni che vivono in città e nella prima cintura dell’hinterland. Si tratta in gran parte di ragazzi di seconda generazione, alcuni con cittadinanza italiana e figli di genitori immigrati. Per tutti lo stesso abbigliamento e lo stesso modo di portare i capelli, ricci a coprire la fronte e parte degli occhi.
Il fenomeno
Dopo i casi del fine settimana di aggressioni a scopo di rapina messe a segno da ragazzi minorenni o maggiorenni da poco ai danni di coetanei, anche per l’episodio di martedì sullo sfondo c’è l’ombra di una rapina anche se resta da stabilire per mano di chi e ai danni di chi. Una dinamica che non è nuova nella nostra città. Per tutta la scorsa primavera e la prima parte dell’estate si sono susseguiti i casi, denunciati alle diverse forze di polizia, di rapine ai danni di giovanissimi ma anche di dinamiche da «cavallo di ritorno» per capi di abbigliamento e accessori: cappellini, felpe e anche scarpe rubate per cui veniva chiesto «un riscatto» di qualche decina di euro. Episodi che sono stati perseguiti e che hanno portato all’emissione di misure cautelari da parte della magistratura mentre per altri le indagini sono ancora in corso.
Se, come ripetono i vertici delle Forze di polizia e la magistratura, non si tratta di «baby gang» in senso stretto perché non si sono individuate strutture organizzate costituite con il fine di commettere reati, è comunque vero che una serie di episodi che si ripete nel tempo ai danni dei più fragili crea comunque allarme sociale tra le famiglie e chiedono una pronta risposta da parte delle istituzioni.
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