Se la mafia si stabilizza nel business delle nostre imprese

Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho nel convegno a Villa Fenaroli di Rezzato
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LA MAFIA IN GIACCA E CRAVATTA
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La mafia, o meglio le mafie, o meglio ancora la 'ndrangheta non si sta infiltrando. È viva e lotta da decenni contro di noi. Anche su al Nord. Non si è evoluta. Si è adattata al nostro contesto economico e sociale. Ha mandato i suoi figli all’università, li ha iscritti ai master più prestigiosi. Ha allevato professionisti e manager. Ha appoggiato il fucile a canne mozze allo stipite della porta, riservandosi la possibilità di tirarlo fuori alla bisogna, e si è dato ad altro tipo di affari. Si è stabilizzata nel business delle nostre imprese, approfittando del suo immenso potere d’acquisto, della sua forza di intimidazione, del ventaglio di proposte allettanti (almeno sulla carta) che riesce ad offrire a chi abbandona la retta via per percorrere scorciatoie che iniziano in discesa e finiscono in un vicolo stretto, buio, senza uscita.

Di impresa e criminalità, ospiti del presidente di Apindustria Confapi di Brescia Pierluigi Cordua, ieri a Villa Fenaroli di Rezzato hanno parlato gli ospiti più titolati. Dal procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, al procuratore della Repubblica di Brescia Francesco Prete; dal presidente del Tribunale di Brescia Vittorio Masia, al sostituto procuratore Paolo Savio, passando per il generale delle Fiamme Gialle Stefano Screpanti, il generale della Dia Nicola Altiero e quello dell’Arma dei Carabinieri Andrea Tamburi Salimbeni.

Mafie invisibili

«In Lombardia e nel Bresciano le mafie sono invisibili. Il dato statistico, parlando di mafie, oggi come oggi - ha spiegato Cafiero De Raho - non è significativo. Significativa può essere la mole di segnalazioni per operazioni sospette, quelle che scattano per la normativa antiriciclaggio. È significativo ad esempio che nel 2019 sono state 105.789 in tutta Italia, che di queste 20.937, quasi un quinto, arrivi dalla Lombardia. Dà da pensare che nemmeno la pandemia abbia invertito questo trend, visto che nel 2020 sono state 113.187. Quello che preoccupa di più però è che nel 2019 che nel 2020 sono state solo 47 le segnalazioni giunte dagli enti e dalle amministrazioni locali. C’è una sproporzione che preoccupa».

Modus operandi

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L'intervista a Cafiero De Raho

Il procuratore nazionale antimafia ha spiegato inoltre le modalità con le quali le criminalità organizzate hanno scelto di essere tra noi. «Si presentano bene, ben vestite e a modo. Prestano denaro, del quale in ragione dei loro traffici illeciti dispongono in grandissima quantità». Stima Cafiero De Raho che, solo dalla droga, la ’ndrangheta incassi 30 miliardi di euro l’anno e che solo un quarto lo reinvesta nel crimine.

«Il 75% di quanto incassato dal traffico di sostanze stupefacenti - ha spiegato il procuratore nazionale antimafia - è riciclato nell’economia pulita, attraverso i legami creati con l’impresa». Ovviamente non si tratta di investimenti a fondo perduto. Il denaro impiegato deve a sua volta generare interessi. «Ne pretendono la restituzione, con interessi elevati. L’imprenditore che non riesce a pagare - ha illustrato Cafiero De Raho - viene di fatto esautorato dalla sua azienda. È costretto a modificare la ragione sociale, a eseguire ordini degli esponenti delle cosche. Finisce con l’essere loro schiavo».

Specializzazioni: crediti di imposta e manodopera

Nel nostro territorio le mafie si sono specializzate in due attività: la cessione di crediti di imposta e quella di manodopera. «Chi utilizza questi servizi da un lato danneggia l’economia reale. I fittizi crediti di imposta sottraggono gettito allo Stato. Così come la manodopera a basso costo, figlia dell’evasione dei contributi previdenziali ed assistenziali, del mancato investimento in sicurezza. È bene ricordarlo: chi si avvale di questi servizi si aggrega ad un circuito di illegalità».

Cafiero De Raho evidenza come la comparsa improvvisa di nuovi player in mercati e settori collaudati debba «essere immediatamente radiografata»; ricorda i tavoli tecnici istituiti per individuare le zone d’ombra dove si infiltrano le mafie. Chiede agli operatori e alle istituzioni di denunciare; assicura l’impegno di autorità giudiziaria e forze dell’ordine. «Noi - conclude - siamo con voi».

Conviene stringere il patto con il diavolo?

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L'intervista a Francesco Prete

Siamo sicuri convenga stringere il patto con il diavolo? Mettersi in affari con le mafie? Il procuratore della Repubblica di Brescia Francesco Prete è sicuro di no. «L’imprenditore che lo fa non ha mezzi e denaro per un rapporto alla pari con la criminalità organizzata ed è per questo destinato a soccombere. La scorciatoia presa per fare la cresta su tasse e contributi, per guadagnare di più, si rivela una strada senza uscita. A meno di non rinunciare a tutto. Gli imprenditori che dopo essersi rivolti alla mafia - ha detto il procuratore alla platea di Villa Fenaroli - si sono rivolti a noi per uscire dalla morsa criminale hanno perso attività, famiglia, anche la stessa identità. Siamo sicuri che convenga allacciare questi relazioni pericolose?».

Per un contrasto efficace occorre una battaglia culturale nella quale si sentano coinvolti «le scuole e gli organi di informazione» ha proseguito Prete, «ma servono anche input informativi tempestivi. Le segnalazioni di operazioni sospette devono essere più puntuali e fornire indicazioni più precise, non generiche». Il procuratore ammette un certo ritardo nel contrasto. «La Gdf bresciana per i primi 10 mesi del 2021 stima fatture per operazioni inesistenti per 1 miliardo di euro. Di queste ne sono annotate per 370 milioni, mentre i nostri sequestri arrivano solo a 10 milioni di euro».

Prete evidenzia una sproporzione tra le capacità di azione delle consorterie criminali e quella di reazione delle forze dell’ordine. «Penso al riciclaggio. Le mafie usano anche le monete virtuali, strumento sul quale il mio livello di preparazione è molto arretrato. La nostra professionalità deve crescere».

Per Vittorio Masia, presidente del Tribunale, deve crescere anche la consapevolezza che i mezzi di contrasto sono differenziati e ugualmente efficaci. «Non c’è solo il carcere e la confisca. Esiste anche un altro mondo, quello del controllo, dell’affiancamento per vedere se l’impresa che ha avuto contatto con la criminalità possa essere recuperata». Il presidente Masia ha ricordato che le stesse aziende possono chiedere questo tipo di misura, ma anche segnalato il rischio di corto circuiti giudiziari al proposito. «Si tratta di un terreno estremamente complesso - ha segnalato concludendo il suo intervento - sul quale si fronteggiano diverse esigenze. Segnali di speranza non devono comunque mancare: l’impresa sana che è stata occasionalmente lambita da queste organizzazioni può uscirne, dimostrando sincera volontà di dissociarsi e di intraprendere quel percorso virtuoso che la porterà ad un risanamento oltre che dei conti anche della sua reputazione». 

«Parlare di mafia è parlare di niente»

Dietro la (apparente) provocazione c’è uno dei volti più noti del contrasto alla criminalità organizzata, quello del sostituto procuratore Paolo Savio. Il pm bresciano, da sempre magistrato di punta della dda, invita a non generalizzare quando si parla di organizzazione criminali di stampo mafioso: per un contrasto efficace è necessaria una conoscenza approfondita, anche delle differenze. «Ho imparato delle mafie più a Brescia che negli anni in cui ero alla procura di Catania. Là si trattava di strutture militarizzate, che punivano il traditore. Di famiglie divise, nettamente. Là, nei maxiprocessi, non abbiamo mai contestato reati di natura economica».

A Brescia Savio ha trovato tutt’altro. «Mafia, camorra, ’ndrangheta, stidda, mafia pugliese, mafia nigeriana. Con differenze enormi tra l’una e l’altra. Dire che sono infiltrate nel nostro territorio - ha spiegato Savio - è un errore. Dobbiamo parlare di estrema stabilizzazione: a Lumezzane c’è una locale della ’ndrangheta dagli anni ’90. Sul lago di Garda, Cutolo e la camorra arrivarono nel 1978».

E qui il loro business «esercitato come veri e propri player del mercato economico» si diversifica. «La ’ndrangheta come disse uno degli imputati intercettati - ha proseguito il magistrato - al nord mette la cravatta e al sud la tuta».  Al nord, anche nel Bresciano, non traffica in droga, «con il crimine crea posti di lavoro, conquista consenso e fa affari. Non privilegia più la violenza anche se la violenza è una presenza immanente che aleggia sempre. Qui fa fatture false con il giubbotto antiproiettile e tre pistole infilate nella cintura». 

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