Scorie radioattive all’ex Piccinelli: in campo l'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare
A «tradirlo» fu il fango. Così, nel 1998, si scoprì pubblicamente la presenza del Cesio 137 all’interno della ex cava Piccinelli, situata in via Cerca. L’area era infatti stata concessa in affitto, da privati, a due fratelli che si occupavano dello smantellamento di auto e motori. I rottami venivano poi caricati sul camion e trasportati in acciaieria per lo smaltimento.
E furono proprio i portali di controllo dell’Alfa Acciai a suonare per la prima volta: ad essere radioattivo, però, non era il materiale trasportato, ma (appunto) il fango rimasto appiccicato alle ruote del camion. Fango che proveniva dalla ex cava. Ventisei anni più tardi, il «caso Piccinelli» è ancora sul tavolo della Loggia che, Amministrazione dopo Amministrazione, si passa il testimone della gestione di una vicenda complessa.
Per capire quanto, basta una cifra: 1.800. Tante sono infatti le tonnellate di scorie d’acciaieria impregnate di Cesio 137 (materiale radioattivo) sulle quali il Comune si trova a dover intervenire in via sostitutiva con l’aiuto e la regia della Prefettura (che detiene la competenza per i siti radioattivi). Che, non a caso, a dicembre ha chiamato in causa l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare (alias: Isin). L’obiettivo: incamerare tutti i dati necessari per capire quale direzione (è possibile) intraprendere una volta arrivati di fronte all’antico bivio tra messa in sicurezza e bonifica.
In Prefettura
A che punto siamo esattamente e quali sono i prossimi step? Il Comune ha realizzato il piano di caratterizzazione radiologico relativo ai mille metri cubi di materiale contaminato (scorie che hanno un potenziale radioattivo di 120 Giga Becquerel) e lo ha condiviso con la Prefettura. A loro volta, i funzionari di casa a Palazzo Broletto hanno deciso di inviare il dossier all’Isin: «L’Istituto - conferma l’assessora all’Ambiente in Loggia, Camilla Bianchi - ha già trasmesso una valutazione preliminare del piano, al quale ha appuntato una serie di osservazioni». Ed è esattamente su questo ventaglio di prescrizioni che il tavolo di lavoro in Prefettura - in agenda «entro la fine del mese», conferma Bianchi - si confronterà.
Il passaggio è importante: con le integrazioni suggerite, il piano di caratterizzazione potrà di lì a poco tradursi in definitivo e, quindi, mettersi finalmente in moto.
Lo scenario
Mano a mano che il l’iter «amministrativo» procede, all’ordine del giorno si avvicinano anche i due temi più dolenti, vale a dire con quale metodo intervenire e, soprattutto, con quanti e quali quattrini. Il primo fronte sarà dipanato quando il piano di caratterizzazione pratico consegnerà il suo epilogo e sarà dunque chiaro l’affresco ambientale che le istituzioni si troveranno di fronte. È chiaro però che in pole c’è la strada della messa in sicurezza (una delle opzioni potrebbe essere la realizzazione di un sarcofago in cui confinare le scorie radioattive), anche perché al momento in Italia di depositi idonei non ce ne sono e il «trasloco» dei rifiuti all’estero trascina con sé preventivi spesso proibitivi.Per capire lo snodo economico, invece, bisogna riavvolgere il nastro di qualche anno. Nell’aprile 2019 l’allora prefetto Attilio Visconti riuscì ad accaparrare per Brescia buona parte dei finanziamenti statali messi a disposizione nel 2017 dal «fondo di rotazione per le bonifiche di siti contaminati da incidenti radioattivi». Di quei trasferimenti, alla ex Piccinelli viene assegnato un milione di euro (tesoretto accessibile solo dal dicembre 2021, da quando cioè è stato ufficialmente vergato l’accordo).
Da questo budget, bisogna ora sottrarre gli 86mila euro impegnati per realizzare il piano di caratterizzazione. Si arriva così al saldo di 914mila euro, l’unica cifra (certamente insufficiente) ad oggi disponibile per il capitolo ex Piccinelli. La caccia ai fondi (in primis ministeriali, ma non solo) è ai blocchi di partenza.
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