Scorie radioattive a Brescia: dove sono e quanto costa smaltirle
In provincia di Brescia ci sono 85.534 tonnellate di rifiuti radioattivi, distribuite in 9 siti contaminati: è sul nostro territorio che si registra la maggior concentrazione di discariche contenenti scorie di questo tipo, non solo in Lombardia ma in tutta Italia. Infatti, quelli bresciani rappresentano la gran parte dei siti lombardi (in tutto 15 installazioni industriali), i quali con 6.147 metri cubi di rifiuti radioattivi costituiscono il 19,81% delle scorie nazionali. La Lombardia è seconda solo al Lazio, dove ne sono stipati 9.284 mq. Segue al terzo posto il Piemonte, con 5.605 metri cubi.
La provincia di Brescia è l’unica a registrare un così alto numero di discariche, seppur tutte a bassa radioattività, che sono in gran parte l'eredità di una partita di materiale ferroso contaminato da Cesio-137, arrivato dall’ex Unione Sovietica nei primi anni Novanta e fuso in alcune raffinerie. Il Cesio-137 è un isotopo radioattivo del metallo alcalino cesio, sottoprodotto della fissione nucleare dell’uranio. Anche se in quantità più ridotte, nei rifiuti radioattivi bresciani sono state riscontrate tracce di Cobalto-60 (un isotopo radioattivo sintetico del metallo cobalto) e di Americio-241 (un elemento metallico radioattivo che deriva bombardando il plutonio con neutroni).
Dove sono e cosa contengono i siti bresciani
Due in città, quattro nell'hinterland, due in Valtrompia e uno in Valsabbia: i siti bresciani, come si diceva, sono 9 in tutto. Di questi, grazie ai fondi sbloccati dal Ministero della Transizione ecologica, sette saranno sottoposti a bonifica completa (tranne il sito a Capriano del Colle, dove si stima che manchino all'appello ancora 5 miloni per completare la messa in sicurezza definitiva).
1. Metalli Capra a Capriano del Colle
È la discarica radioattiva più grande d’Italia e contiene 82.500 tonnellate di rifiuti contaminati, tra scorie saline di fonderia di alluminio e terra. Sorge alle pendici del Monte Netto, nel parco regionale. Un anno e mezzo fa il ministero dell’Ambiente e l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione hanno valutato come «coerente» il progetto studiato dal viceprefetto Stefano Simeone che prevede, oltre alla messa in sicurezza permanente della discarica, anche di tombare sul posto il rifiuto contaminato. Un progetto per cui servirebbero 6 milioni di euro: con lo sblocco dei fondi del 30 agosto 2021, la Prefettura è riuscita a recuperarne uno. Qui il progetto prevede la copertura della discarica con un grande involucro di cemento-bentonite e argilla. La struttura dovrà impedire il dilavamento della discarica e quindi il percolato derivante dalle piogge meteoriche e il loro possibile ingresso nelle acque di falda.
2. Area Cagimetal (ex cava Piccinelli) a Brescia
Alle porte della città, dal 1998 custodisce 1800 tonnellate di scorie di fonderia e di terra. Per la sua messa in sicurezza il Ministero ha stanziato un milione di euro. Per monitorare quest’area, a febbraio 2021 è stato istituito dalla Prefettura un osservatorio specifico per il monitoraggio e il contenimento del rischio di contaminazione del sito. Rappresenta uno degli interventi più urgenti, in funzione dei rischi per la falda e l’ambiente e lo stato di conservazione delle scorie. Il sito di San Polo si trova vicino all’odierno Parco delle cave. La Cagimetal, responsabile del deposito, non esiste più, ma la falda è a soli cinque metri di profondità, anche se i rilevatori installati non hanno mai mostrato contaminazioni, come ribadisce da tempo la Loggia.
3. Alfa Acciai a Brescia
In località San Polo, al suo interno ci sono 580,6 tonnellate di polveri di fumi, materiale contaminato e fasciame di tondini metallici. I due eventi incidentali in cui sono state fuse sostanze radioattive risalgono al 1997 e al 2011. Per questo sito sarà investito, anche in questo caso, un milione di euro. Il materiale, soprattutto quello risalente al primo episodio, è tornato ad essere oggetto nel 2012 di sopralluoghi e controlli disposti dal tavolo che in Prefettura monitora le cosiddette «sorgenti orfane» di radioattività note (tavolo cui prendono parte tra gli altri Vigili del Fuoco, Ats e Arpa). Le verifiche condotte dai Vvf hanno portato ad accertare uno stato di conservazione di fatto buono dei contenitori in cui sono stivate le polveri del 1997 (chiuse in contenitori d'acciaio con successiva colata di cemento). Quanto poi al materiale che nel 2011 fece più volte la spola tra la Sardegna e l'Alfa Acciai, all'azienda finora è spettato il compito di assicurarne la custodia in un apposito bunker.
4. Acciaierie Venete a Sarezzo
Qui dal 2007 sono stoccate 270 tonnellate di polveri di fumo contaminate. La sua bonifica non è contemplata nei finanziamenti ministeriali perché questo sito non aveva i requisiti richiesti dal bando. Le scorie, anche secondo l'Isin (Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione), risultano comunque sotto controllo, in una condizione di sicurezza.
5. I.r.o. Industrie Riunite Odolesi spa a Odolo
Nell’azienda valsabbina, a causa di una fusione che risale al 5 luglio 2018, permangono 170 tonnellate di polveri sottili contaminate. Una fonte radioattiva, probabilmente schermata con del piombo quindi «invisibile» ai sensori piazzati sul portale d’ingresso, era finita nella colata. Ad accorgersene uno dei sensori posizionati a controllo dei fumi dell’acciaieria. Era scattata la procedura di emergenza, che aveva rilevato l'assenza di materiali radioattivi, ma che si trattava di contaminazione delle polveri, a livelli bassi ma comunque oltre il consentito. Mentre il laminatoio ha potuto proseguire nelle diverse lavorazioni, il processo di fusione continua del rottame per la produzione dell’acciaio è stato interrotto ed ha potuto riprendere solo a settembre. Va detto che l’acciaio non presentava alcuna radioattività.
6. Rvd ex Fonderie Rivadossi di Lumezzane

Qui dal 2008 si trovano 157 tonnellate di polveri di fumi, fini di ottone e materiale di bonifica. Come per le Acciaierie Venete di Sarezzo, non sono stati stanziati fondi per la mancanza di alcuni criteri ritenuti necessari nel bando e le scorie risultano custodite in sicurezza, dunque non rappresenterebbero un pericolo urgente per l'ambiente.
7. Service Metal Company di Mazzano
Dal 2001 ospita 25 tonnellate di scarti contaminati da americio: si tratta di scorie di fusioni e polveri di fumi. Per lo smaltimento sono previsti 125.830 euro. In questo caso, i materiali radioattivi potrebbero essere prelevati e trasportati altrove per lo stoccaggio.
8. Metalli Capra (ex Fermeco Brescia 80) di Montirone

In quest’area giacciono 21,8 tonnellate di rifiuti radioattivi, anche in questo caso scorie di fusioni e polveri di fumi. Rientra tra i siti che saranno bonificati grazie allo stanziamento dei fondi del Ministero della Transizione ecologica (un milione di euro la quota assegnata): si spera che la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi possa contribuire a sbloccare la vendita dello stabilimento gestito dalla curatela fallimentare. L'edificio, seppur in ottimo stato e in una posizione strategica dal punto di vista logistico, non ha incontrato acquirenti. Lo stesso vale per la sede di Castel Mella (punto seguente).
9. Metalli Capra di Castel Mella

Stabilimento ancora in vendita come quello di Montirone, è quello con la minore quantità di scorie radioattive. Sono infatti 9 tonnellate e per la loro bonifica è stato stanziato un milione di euro.
I fondi per la bonifica
La notizia dell’attribuzione a Brescia dei fondi per la bonifica dei siti radioattivi da parte dell’allora ministero dell’Ambiente risale al 27 novembre del 2019. L’elenco dei siti beneficiari fu trasmesso quel giorno alla Prefettura, che nei mesi precedenti aveva raccolto la documentazione necessaria per partecipare ad un bando ministeriale e chiedere complessivamente 9 milioni di euro per mettere in sicurezza altrettante zone a bassa radioattività. In quell'occasione furono riconosciuti 5 milioni per altrettanti siti e ne rimasero esclusi, per mancanza dei requisiti, tre: la raffineria Metalli Capra di Capriano del Colle, le Acciaierie Venete di Sarezzo e la ex Rivadossi di Lumezzane. Tutti siti, va chiarito, in cui a suo tempo furono creati bunker di stoccaggio, provvisori ma sicuri, che accolgono le scorie contaminate.
Da quel 27 novembre di due anni fa, però, è cominciata una lunga trafila burocratica, per far sì che quei fondi, riconosciuti solo sulla carta, fossero poi accreditati. A rendere complicato il versamento dei cinque milioni, diventati nel frattempo 6.125.830 grazie all’impegno della Prefettura per l’inserimento della discarica del Monte Netto, era un cavillo di non poco conto: la mancanza di un capitolo di spesa nel complesso bilancio prefettizio, dedicato a questa nuova tipologia di contributi. Il bando ministeriale del 2019, che attingeva dal fondo rotativo della Finanziaria 2017 (che aveva previsto cinque milioni l’anno dal 2017 al 2020), era infatti il primo in assoluto su una materia così complessa. In questi 22 mesi si sono succeduti una miriade di incontri, soprattutto in videoconferenza, che hanno visto coinvolti, oltre alla Prefettura, tre ministeri: Ambiente, Economia e Finanze, Interno.
È stato necessario creare un capitolo di spesa specifico, cosa di cui si è occupato il dicastero dell'economia, per far transitare i soldi dal ministero dell’Interno e da qui alle prefetture, cosa avvenuta finalmente il 30 agosto 2021. Un’impasse burocratica che ha messo a dura prova gli uffici ministeriali e quelli della Prefettura di Brescia che, nel frattempo, spingevano per inserire nell’elenco dei siti beneficiari anche quello della discarica Metalli Capra di Capriano del Colle, che infine è stato «riammesso al finanziamento per l’importo di un milione a seguito di specifiche deduzioni tecniche trasmesse» al dicastero dell’Ambiente, che dopo un confronto serrato, le ha accolte. «Per un risanamento completo del sito di Capriano del Colle - conclude la nota - il prefetto Visconti ha chiesto da mesi al Ministero un ulteriore contributo straordinario di due milioni di euro. L’istruttoria è attualmente in corso».
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