La mappa dei veleni segna 261 bollini rossi tra città e provincia

Dalla Piccinelli alla Selca: c’è più di un sito inquinato per ogni paese. Sono il triplo rispetto al 2021
Alcuni dei rifiuti collocati all’interno della ex Selca, da smaltire - Foto © www.giornaledibrescia.it
Alcuni dei rifiuti collocati all’interno della ex Selca, da smaltire - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Il Sito di interesse nazionale Caffaro è il simbolo più famoso, non solo per la sua complessità ma anche per la paradossale e dolorosa storia che lo ha contraddistinto. Ma non è certo l’unico. La gloria industriale di Brescia ha il suo «lato b» ed è costellato di bollini rossi: 261 per l’esattezza (tra aree pubbliche e private), il triplo rispetto al rapporto Agisco 2021. Significa che in media c’è più di una zona inquinata per paese: 193 in provincia e 68 nel capoluogo.

A catalogarle è stata l’ultima ricognizione effettuata dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa) e datata 2 novembre 2023, una mappa che disegna le nostre aree velenose, che «valgono» circa il 13% dei siti contaminati della Lombardia: alcune sono sotto stretta sorveglianza (ex Selca, Finchimica, ex Metalli Capra) per scongiurare tante «Caffaro due», altre sono meno allarmanti. Tutte, però, sono «affamate» di bonifiche costosissime.

La scia lasciata dall’epoca d’oro delle fabbriche (e delle discariche) ha una tavola periodica da mani nei capelli: cromo esavalente, piombo, rame, cadmio, zinco, selenio, manganese, Cesio 137, nichel, solventi di ogni sorta.

I punti più complessi

Ma quali sono i casi più complessi? Il grattacapo per eccellenza del capoluogo (dopo Caffaro) è un dossier che alberga sulle scrivanie comunali dal 1993 e che sull’etichetta riporta la scritta «Cava Piccinelli», uno spazio privato infestato da materiale radioattivo. La regia è nazionale, ma la Loggia - che ha consegnato alla Prefettura un piano di caratterizzazione - dovrà intervenire in via sostitutiva. La posta in gioco è alta: da mettere in sicurezza ci sono 1.800 tonnellate di scorie d’acciaieria contaminate da Cesio 137 e stoccate nell’ex cava di Buffalora.

Un'immagine d'archivio dell'ex Cava Piccinelli - Foto Eden © www.giornaledibrescia.it
Un'immagine d'archivio dell'ex Cava Piccinelli - Foto Eden © www.giornaledibrescia.it

Da dove provengono quegli scarti radioattivi? La filiera delle verifiche li ha ricondotti alla ex Cagimetal e l’epilogo è purtroppo comune: la ditta è fallita e l’eredità del risanamento è finita sulle spalle del Comune. In campo c’è l’idea di allestire una sorta di «sarcofago» dentro il quale catturare le scorie. Questo per due ragioni: in primis per bonificare il terreno servirebbero circa 20 milioni di euro (come stimato dagli uffici pubblici), fondi che - al momento - nessuno ha; e poi perché si aprirebbe un secondo rebus: la caccia a un deposito in cui conferire il materiale infettato dal Cesio 137.

Ma in città sono sorvegliate speciali anche la Ofra di via Roselli, l’ex deposito Italiana Petroli di via Sostegno, la Baratti di via Padova, l’ex Pietra di via Orzinuovi, l’ex cava Gaburri, la Forzanini di via Ancona, l’Iveco di via Volturno, la Whitford di via Verziano, lo scalo merci della ferrovia, l’impianto di distribuzione per il rifornimento dei treni a idrogeno di Borgo San Giovanni.

Eredità pesanti

Guardando alla provincia tra i siti etichettati come «ad alto rischio» ci sono la ex Stefana di Bovezzo, l’acciaieria dismessa Sisva di Calvisano, l’ex tintoria Eco-Neproma di Dello, l’area della ex Cromoplast di Gardone Valtrompia. Da bollino rosso anche le «archeodiscariche» Accini e Baratti di Montichiari, quella in località Gavardina a Calcinato, la ex cava Rocca di Fiesse, il Trivellino di Lonato, il deposito di scorie di Ciliverghe di Mazzano, il bacino di escavazione dismesso Vianelli di Paderno e la Pizzo di Pisogne, ex Metalli Capra solo per citarne alcune.

Un focus ad hoc lo meritano però due fronti in particolare, entrambi al centro dell’attenzione anche della Prefettura. A partire dal sito che i tecnici hanno più paragonato al caso Caffaro: si trova in Valcamonica ed è l’ex Selca di Forno Allione, a Berzo Demo. Per capire la gravità della situazione che l’Arpa si era trovata di fronte bastano due cifre: 16.500 e 1.500. La prima indica la concentrazione di fluoruri riscontrata durante il campionamento delle acque eseguito nel 2021. La seconda, il limite massimo consentito dalla legge per quella stessa sostanza, un limite superato di undici volte.

I vecchi capannoni abbandonati della Selca - © www.giornaledibrescia.it
I vecchi capannoni abbandonati della Selca - © www.giornaledibrescia.it

A che punto siamo? L’ultimo aggiornamento risale all’incontro del 5 ottobre: il tavolo tecnico in Prefettura è stato richiesto dall’assessore regionale all’Ambiente Giorgio Maione, perché nel sito riposano ancora 37mila metri cubi di rifiuti. Il problema si ripropone: per risolvere la situazione servono 20 milioni di euro, come sancito all’interno dell’Accordo di programma. Il curatore fallimentare, però, ha al momento in cassa solo due milioni e mezzo: una goccia nel mare per un’operazione che dovrebbe veder viaggiare i fusti velenosi verso il deposito in Austria. Di qui l’intesa tra enti, che si sobbarcheranno una parte della spesa per «tamponare l’emergenza». Tradotto in soldoni: la Regione sborserà 1,5 milioni, la Provincia un milione e la Comunità Montana 4 milioni così da «rimuovere almeno le scorie più pericolose», iter che ora deve mettere in moto il curatore.

L’altro sito sotto i riflettori è quello della Finchimica di Manerbio, la fabbrica che produce agrofarmaci finita al centro delle indagini della Procura che ipotizza il reato di inquinamento ambientale. Questo in seguito agli esiti delle indagini condotte dal dipartimento di Brescia dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, che - in 12 dei 19 piezometri - ha rilevato dentro i confini della fabbrica una contaminazione da erbicidi, pesticidi e sostanze chimiche tossiche, come il Trifluranin. Questo si aggiunge alla contaminazione riscontrata nella falda superficiale, dove - stando sempre a quanto riscontrato dall’Arpa - sono emersi superamenti dei limiti di legge per arsenico, ferro, manganese, solfati, cloroformio, dicloroetano, ferro, tricloroetilene e composti alifatici clorurati.

Quale la situazione ora? Sul versante ambientale c’è la richiesta di un monitoraggio all’esterno del sito. Per quanto riguarda invece lo snodo industriale, la Provincia ha sospeso il procedimento per l’ampliamento dell’impianto già esistente, mentre ha concesso il placet per la realizzazione dell’impianto che servirà a produrre il fungicida AM29, «per il quale - ha specificato il sindaco di Manerbio, Paolo Vittorielli - l’Unione europea autorizza vendita e uso in agricoltura sul proprio territorio». 

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