Rogo della Vecchia, quando tradizione non fa rima con ambiente

L'appuntamento del Giovedì grasso è per molti irrinunciabile, ma porta con sé problemi per emissioni e sicurezza: conferma dei Vigili del fuoco
Un rogo della vecchia (archivio) - © www.giornaledibrescia.it
Un rogo della vecchia (archivio) - © www.giornaledibrescia.it
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Ammettiamolo. Che lo si chiami «zöbia màta», «gioedé de' la meza» o anche solamente Rogo della Vecchia, quello del giovedì di metà Quaresima è un appuntamento che, chi più chi meno, ci ha fatto tutti sognare da piccolini. Quel falò che divora il fantoccio dell'anziana, un po' strega e un po' rappresentazione di tutto ciò di cui vogliamo disfarci con l'avvento della primavera, è parte di una tradizione che affonda le radici nella notte dei tempi.

Dai roghi celtici alle settimane pre-pasquali in epoca cristiana, ricorre annualmente pressoché senza soluzione di continuità da secoli. Eccezione han fatto gli ultimi due anni, segnati da lockdown e pandemia (non senza episodi in regime di clandestinità). Il timore che dopo il lungo stop forzato, in questo 2023 si dia fuoco alle polveri (è il caso di dirlo) è elevato. E ad esserne preoccupati, tra gli altri, sono proprio coloro che per primi si trovano a dover intervenire in caso di necessità: i Vigili del Fuoco.

Siamo in crisi

Drammaticamente, la crisi climatica che incombe - non certo a causa dei roghi della Vecchia, sia chiaro - impone qualche riflessione in più. Anche quello che per affetto popolare ci pare un momento irrinunciabile, merita cautela. Partendo ad esempio col ridimensionamento della vecchia da bruciare, se proprio non si può far a meno di questo rito di lungo corso.

Anche il legno, infatti, comporta emissioni in atmosfera non proprio auspicabili: una combustione incontrollata, infatti, se non rileva particolarmente in ordine alla liberazione di anidride carbonica, stando agli esperti è altresì responsabile del rilascio di polveri sottili, Pm10 e Pm 2,5. E decisamente nel Bresciano non ce n'è bisogno.

Secondo alcuni studi, la combustione di un chilogrammo di legno secco rilascia in atmosfera circa 4 grammi di polveri sottili, 5 milligrammi di  idrocarburi policiclici aromatici (Ipa, considerati cancerogeni dall'Oms) e 6 nanogrammi di diossine. Dati che non stupiscono se si considera che ogni anno, nel corso della cosiddetta stagione termica che va da ottobre ad aprile, la stessa Regione impone, tra le misure anti-inquinamento atmosferico, specifiche limitazioni all'accensione di caminetti e stufe.

Va poi considerato che al legno si accompagnano altri materiali, paglia, stracci e non solo che rendono ancora più variegato il potenziale inquinante.

Sicurezza e rifiuti

La preoccupazione maggiore, tuttavia, deriva dai rischi connessi ad un controllo inadeguato del rogo, da un lato, e dalla combustione di rifiuti di ogni specie spesso appositamente accumulati, dall'altro. Il Comando provinciale dei Vigili del Fuoco conferma che la sera del Giovedì grasso la sala operativa è sempre stata presa d'assalto da decine di chiamate per roghi, specie nelle campagne, che complici il vento e altri imprevisti si sono tramutati in incendi arginati solo dall'arrivo dei pompieri.

Ma a destare ancor più preoccupazione è la constatazione del fatto che spesso, sotto qualche ramaglia, si cela materiale anche pericoloso: scarti di lavorazione agricola, copertoni in gomma, sacchi di fertilizzanti, ecc. che invece di essere conferiti in discarica, vengono così smaltiti.

Rischio di arresto

E ogni anno non mancano le segnalazioni da parte degli stessi pompieri, che sono - lo ricordiamo - ufficiali di polizia giudiziaria per quel che attiene lo specifico ambito. Con conseguenze penali, quelle previste per il reato di combustione illecita di rifiuti, contemplato dall'articolo 256 bis del Codice dell'Ambiente:

«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile è tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica».

Insomma, ci sono ottime ragioni per considerare la possibilità di tradurre in qualcosa di simbolico e meno impattante l'antico rito. E ancor più valide per evitare comportamenti che ricadano ampiamente nell'illecito.

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