Processo per «estorsioni e droga»: le vittime ritrattano

Cambiano versione rispetto alla denuncia. Massimo Sorrentino: «Io lavoravo solamente»
La pizzeria I tre monelli - Foto © www.giornaledibrescia.it
La pizzeria I tre monelli - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Il grande accusato ha preso la parola, per una dichiarazione spontanea, quasi al termine di un’udienza fiume. «Sembra che il mio locale sia frequentato da pregiudicati. Ho sempre avuto 300 coperti e non so come facevo a spacciare e fare quello di cui mi accusate». Massimo Sorrentino, gestore con la moglie della pizzeria Tre Monelli in città, è uscito dal carcere sabato per proseguire la detenzione a casa sua ai domiciliari.

Giusto in tempo per il nuovo appuntamento con il processo nel quale, con altri 15 coimputati, deve rispondere di associazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso finalizzata alle estorsioni e allo spaccio di droga.

«Un gruppo in cui Sorrentino era il capo» ha detto l’ispettore della Questura che ha condotto le indagini. Per dimostrare i legami pericolosi di alcuni imputati durante le indagini erano stati attenzionati due matrimoni, di cui uno con un consigliere comunale di Brescia come sposo, ai quali parteciparono soggetti con precedenti di mafia o legati alla criminalità organizzata. 

«Ho sempre pagato l’affitto fino a quando sono andato in galera per colpa dei giornali» ha detto in una prima dichiarazione spontanea resa in aula immediatamente dopo la testimonianza di una delle sue presunte vittime. Che ha in parte ritrattato.

Vale a dire la proprietaria, con il compagno, dei muri della pizzeria di via Don Vender gestita da Sorrentino che ogni mese pagava 1.900 euro d’affitto. È la donna alla quale la notte del 9 aprile 2017 viene bruciata l’auto sotto casa. Per l’accusa «è stata una condotta chiaramente intimidatoria per costringere la donna a vendere il locale». Fu proprio Sorrentino, la sera successiva, a presentarsi a casa della donna. «Mi disse di aver notato l’auto bruciata e che era sorpreso arrivando a chiedermi se avessi avuto problemi con qualcuno» riferisce la vittima sentita il 26 aprile 2017. «Quanto accaduto all’auto mi ha notevolmente scosso e la visita di Sorrentino a quell’ora di sera e il giorno dopo l’incendio mi ha turbato» aggiunge. Ieri in aula la paura è svanita. «Non ho assolutamente avuto paura e non ho collegato il gesto a Sorrentino».

Anche un’altra vittima davanti ai giudici si è rimangiato le accuse. Vale dire un imprenditore di Flero che secondo la ricostruzione dell’accusa «avrebbe subito minacce con metodo mafioso per consegnare 2mila euro o in alternativa due impianti di condizionamento». Sentito durante le indagini l’imprenditore disse: «Non voglio dire nulla in merito per non subire altre minacce». In una telefonata agli atti Sorrentino dice: «Prepara i soldi. Mille o duemila per domani. Non fare cazzate perché poi - dice Sorrentino al suo interlocutore - le cazzate le faccio io e sono casini». L’imprenditore ieri però ha smentito: «Non mi ha mai minacciato». «Erano soldi della droga?» chiede il presidente. «No, usavo cocaina ma mai l’ho comprata da Sorrentino. «E quando parla di un vecchio debito già saldato?» incalza Spanò. «Non ricordo di che soldi fossero» replica il teste. «Pensa di essere creduto?» chiede il giudice. «Valuteremo la sua posizione - aggiunge - al termine del processo».

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